La liturgia della II Domenica dopo il martirio del precursore ci propone nuovamente un brano di Matteo. Gesù è giunto a Gerusalemme e si appresta a vivere gli ultimi giorni della sua vita terrena. Dopo il suo ingresso messianico in città, si è subito diretto al Tempio sollevando un certo polverone con il gesto profetico della cacciata dei mercanti e dei cambiavalute, a cui ha fatto subito seguire una serie di guarigioni di ciechi e storpi, salutate dagli «Osanna al fi glio di Davide» gridati dai fanciulli.

La cosa indispettisce non poco i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani del popolo i quali, al suo ritorno al Tempio il giorno successivo, lo interrogano circa l’autorità con cui riteneva di agire in quel modo. Gesù risponde brillantemente mettendoli in diffi coltà con l’interrogarli a sua volta riguardo la provenienza del battesimo di Giovanni. Il quesito è pungente perché, nonostante il popolo avesse grande considerazione del Battista, loro non gli avevano mai creduto. L’alternativa, nel rispondere, è tra l’inimicarsi il popolo o rivelare la propria ipocrisia, perciò si accomodano velocemente nell’ignavia di un «Non lo sappiamo» che dà a Gesù la possibilità di chiudere la questione sulla propria autorità, rifi utandosi di rispondere a sua volta.

È questo il contesto significativo della parabola e del relativo duro insegnamento che i capi si vedono impartire e che ascoltiamo in questa domenica. Come detto, Gesù non risponde direttamente alla domanda sulla sua autorità; nondimeno off re ai suoi antagonisti altro materiale di rifl essione e una nuova occasione di confronto, con la parabola dei due fi gli. La costruzione della storiella lascia intendere subito che si tratterà di un parallelo tra atteggiamenti opposti che spingerà gli astanti a prendere una posizione. Il primo fi glio non dà ascolto al padre che lo invita a lavorare nella vigna, si rifi uta di obbedire senza alcun accenno di cortesia e senza nemmeno sentirsi in dovere di presentare giustifi cazioni. Poi però ci ripensa e va nella vigna. Il secondo, invece, risponde con rispetto e con una devozione più caratteristica di un servo che di un fi glio, chiamando il padre «signore» e promettendo di obbedire, salvo poi non farlo.

La domanda di Gesù su chi abbia compiuto la volontà del padre è retorica e non lascia spazio se non a una sola risposta che i capi danno prontamente. La sentenza di Gesù in replica ai capi è tagliente: essi saranno preceduti nel regno di Dio da quelle persone che occupavano il posto più basso nella scala religiosa e morale del tempo e che avevano riconosciuto già in Giovanni il tempo della conversione.

Il ribaltamento che Matteo opera è radicale e lascia intendere che per comprendere la logica divina occorre una revisione profonda delle ordinarie categorie di giudizio mondane. Del resto, l’insegnamento rivolto ai capi è chiaro e riprende ciò che già nel discorso della montagna era stato aff ermato da Gesù: nessuna osservanza meramente esteriore conduce alla vita piena ma solo una sincera e concreta adesione alla volontà d’amore del Padre.