(Nelle foto Reuters: manifestazioni indipendentiste a Barcellona)
Barcellona annaspa nella tempesta della questione indipendentista. Niente giro del mondo in barca a vela nel 2019: la quarta edizione della Barcelona world race, la regata oceanica che ha come punto di partenza e punto di arrivo la capitale catalana, è amaramente naufragata nel mare delle incertezze e dei travagli della Catalogna. Così, la questione dell'indipendentismo - che sta assumendo toni sempre più drammatici - e lo scontro tra Barcellona e Madrid finiscono per coinvolgere pure una manifestazione sportiva mondiale, iniziata nel 2007.
La decisione è stata presa dalla Fondazione Navigazione Oceanica di Barcellona (FNOB), che si dice costretta ad annullare l'evento per "il clima di indeterminatezza istituzionale e di mancanza di stabilità politica che vive il Paese". I potenziali patrocinatori della gara, si legge nel comunicato della FNOB, si sentono sfiduciati, non sono sicuri di poter contare sull'appoggio delle istituzioni che dovrebbero garantire lo svolgimento della regata oceanica il prossimo anno.
Nei giorni della Settimana santa - festività molto sentita e celebrata in tutta la Spagna - la Catalogna è allo sbando. L'arresto in Germania dell'ex presidente della Generalitat catalana Carles Puigdemont complica la situazione ed esaspera le tensioni. Puigdemont, l'indipendentista irriducibile, che ha guidato la guerra contro il Governo centrale propugnando la linea del pugno duro e della rottura netta con Madrid, è stato fermato in territorio tedesco sulla base di un mandato di cattura europeo emesso dalla Spagna e per il momento resta nelle mani della giustizia tedesca.
A Madrid l'ex president con un passato di giornalista - fuggito in Belgio a fine ottobre dopo aver proclamato l'indipendenza della Catalogna, in aperta violazione della Carta costituzionale spagnola - è accusato di ribellione e sedizione. La giustizia tedesca deve decidere se procedere con l'estradizione: la parola finale spetta alla Corte d'appello. Ma intanto il Governo di Berlino si è prontamente smarcato dalla vicenda sottolineando che quella catalana è una questione spagnola che va risolta a Madrid. Atteggiamento del resto condiviso da tutta l'Unione europea, affermato già all'indomani del referendum catalano sull'indipendenza dello scorso 1° ottobre, affondando così le speranze di Puigdemont che, al contrario, pensava di poter portare la questione catalana sul tavolo dell'Unione.
In Catalogna, il malcontento e lo sconforto uniscono indipendentisti e unionisti: dopo cinque mesi dall'attuazione da parte di Madrid dell'articolo 155 della Costituzione spagnola - che in casi di emergenza sospende le istituzioni di una Comunità autonoma trasferendo i poteri al Governo centrale - la Catalogna non ha ancora un nuovo Governo e un nuovo presidente delle Generalitat e, al momento, non si intravedono strade percorribili. Junts per Catalunya, il partito di Puigdemont, che fa parte del blocco indipendentista insieme a Esquerra republicana (Erc) e la Cup (sinistra radicale), continua nella strenua difesa del leader e insiste nell'appoggiare la ricandidatura alla presidenza di Puigdemont. Qualunque altro nome, dicono dal partito, sarà considerato solo come una soluzione temporanea.
Il blocco indipendentista reclama la liberazione di Puigdemont e degli altri politici e leader di movimenti indipendentisti arrestati. L'ex presidente catalano si è rivolto alla Commissione dei diritti umani delle Nazioni unite presentando ricorso contro la lesione dei suoi diritti politici in Spagna. La Commissione ha accolto il ricorso e ora si attende il suo pronunciamento. In giro per Barcellona, dove regna comunque un'atmosfera tranquilla, i gruppi per l'indipendenza continuano a manifestare per la liberazione di quelli che vengono considerati "prigionieri politici" - come Jordi Sànchez e Jordi Cuixart, presidenti di due associazioni civili - e a sostegno di Puigdemont. La sinistra repubblicana (Erc) chiama i catalanisti alla mobilitazione ma, attraverso il portavoce in Parlamento Sergi Sabrià, invita ad abbassare il livello dello scontro e a mantenere pacifica qualunque forma di protesta, per non pregiudicare il processo indipendentista e la ripresa di un negoziato con il Governo centrale.
Negoziato, sì. Perché dopo gli eventi degli ultimi mesi e la situazione di stallo politico-istituzionale in cui la Comunità autonoma commissariata si trova, anche per le forze indipendentiste è chiaro che la strada da percorrere non può più essere quella del pugno duro e della rottura. E' tempo di un cammino condiviso, quantomeno discusso tra le parti. Presto o tardi, Barcellona e Madrid dovranno tornare a sedersi l'una di fronte all'altra e guardarsi negli occhi per tracciare, insieme, il futuro della Catalogna, che vuol dire anche il futuro della Spagna.