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mercoledì 26 marzo 2025
 
CHI È
 

Chi è Fabio Pinelli, il nuovo vicepresidente del Csm

25/01/2023  Andiamo a conoscere il nuovo vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Ecco che cosa si sa di lui e di come la pensa sui temi caldi della giustizia

È Fabio Pinelli il nuovo vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, di cui il 19 gennaio è stata completata l’elezione della componente cosiddetta laica, cioè non interna alla magistratura e di nomina parlamentare. Come da tradizione, il vicepresidente è eletto nella componente laica. L’elezione ha visto prevalere con 17 voti Pinelli, proposto dalla Lega, davanti a Roberto Romboli professore emerito già Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Pisa, proposto dal Pd che ha ottenuto 14 voti cui s’è unita una scheda bianca. L’elezione è arrivata al terzo scrutinio, in cui bastava la maggioranza relativa, mentre nei primi due (che richiedevano la maggioranza assoluta dei componenti), nessuno dei due candidati in corsa aveva raggiunto il quorum.

Il nuovo vicepresidente del Csm Fabio Pinelli ha fama di tecnico con relazioni politiche trasversali: ha difeso in aula molti noti esponenti della Lega ed è socio con Luciano Violante della Fondazione Leonardo e di ItaliaDecide, associazione per la qualità delle politiche pubbliche: 57 anni, è nato a Lucca, ma da molto tempo esercita a Padova.

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano, dal 1997 è iscritto al Foro di Padova e dal 2010 anche all'Albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori. È specializzato nel diritto penale dell'economia ma ha rappresentato i suoi assistiti anche in diversi altri ambiti. È l'avvocato di Armando Siri, che da sottosegretario nel governo Conte 1 fu costretto a dimettersi per un'informazione di garanzia per corruzione, per cui è stato rinviato a giudizio a Roma e di Luca Merisi, l' ex guru social della Lega. Assiste la Regione Veneto di Luca Zaia nel maxi processo sull'inquinamento Pfas nelle province di Vicenza, Verona e Padova. È anche legale di Paolo Berizzi, il giornalista di Repubblica oggetto di pesanti minacce e diffamazioni, soprattutto per le sue inchieste sul neofascismo. Davanti alla Corte costituzionale rappresenta il Senato nel conflitto con i pm di Firenze titolari dell'indagine Open a carico di Matteo Renzi, tutti incarichi che dovrà lasciare perché incompatibili con l’attuale ruolo di vicepresidente del Consiglio superiore.

«A lei, signor vicepresidente», ha ricordato il presidente della Repubblica e come tale Presidente del Consiglio superiore della magistratura Sergio Mattarella nell’augurare buon lavoro al neoeletto, che lo rappresenterà nei lavori: «spetta il compito di favorire la coesione dell'attività del Consiglio. L'adozione di delibere condivise, ne rende più efficace ed autorevole il percorso (..). Con la sua elezione è divenuto il punto di riferimento e di raccordo di tutti i componenti del Consiglio, che devono sentirsi da lei rappresentanti, ascoltati e garantiti nell'esercizio delle loro funzioni». Un corollario di quanto aveva affermato il giorno prima in chiusura della precedente consiliatura, in cui ricordava come come l'organo di autogoverno debba «garantire nel modo migliore l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati che svolgono con impegno e dedizione la loro attività anche in condizioni ambientali complesse e talvolta insidiose»

Dal canto proprio Pinelli, nel garantire la propria indipendenza e la Costituzione come faro, ha assicurato: « Anche a chi non mi ha votato dovrò garantire ascolto, perché il comportamento del Csm sia orientato sempre verso scelte condivise meditate».

Le idee espresse da Pinelli in un intervento su Questione Giustizia, rivista telematica di Magistratura democratica, andavano effettivamente in questa direzione proponendo un approccio cauto e ragionato ai temi caldi che hanno agitato in questi giorni il dibattito sulla giustizia. «I temi che si mostrano più presenti all’attenzione della cronaca», scriveva il 10 gennaio Pinelli, «non sono affatto nuovi e sembrano perpetuare una logica di contrapposizione, in seno alla politica e tra quest’ultima e la magistratura, che negli ultimi trent’anni non è mai stata foriera di risultati significativi in positivo».

Per poi proseguire esprimendosi con una cautela molto maggiore rispetto a quanto mostrato dagli esponenti della maggioranza di governo sui temi delicati del momento: «L’obbligatorietà dell’azione penale, al cospetto della sistematica ipertrofia pan-penalistica del legislatore, rappresenta oramai un totem di carattere formale, che ha poca aderenza con la realtà dell’azione quotidiana degli Uffici giudiziari di Procura; questi sono costretti a selezionare, nel mare magnum perennemente agitato delle notizie di reato ricevute, quali coltivare e quali lasciare in disparte. Il vincolo costituzionale dell’art. 112 della Carta fondamentale, tuttavia, è presidio irrinunziabile, in via di principio, per la sua funzione di salvaguardia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».

Quanto alla cosiddetta separazione delle carriere, affermava: «Si mostra come una sorta di necessità strutturale del nostro architrave ordinamentale, al cospetto della – oramai ultra ventennale – costituzionalizzazione del “giusto processo”, che esige terzietà assoluta del giudice, rispetto alle altre parti processuali. Al contempo, tuttavia, l’appartenenza comune del pubblico ministero, al medesimo ordine giudiziario del magistrato giudicante, limita il rischio dello strapotere investigativo del primo: lo protegge dal vulnus della sua – per così dire – retrocessione amministrativistica, a mero organo di vertice della polizia giudiziaria. Questa idea di pubblico ministero, a ben vedere, offre molte meno garanzie per la tutela dei protagonisti del processo, rispetto all’attuale standard del suo ruolo giurisdizionale, e potrebbe incidere sulle libertà e sui diritti degli individui in modo particolarmente significativo».

Sul tema delle indagini e segnatamente delle intercettazioni: «Non si può non riconoscere come le insidie delle nuove tecnologie digitali, che penetrano nei segmenti e nei luoghi più riservati della vita degli individui, rendono potenzialmente pubbliche informazioni rigorosamente private. S’impone, dunque, massimo rigore nell’esercizio dei pubblici poteri che possano incidere sui più importanti presidi di salvaguardia delle libertà fondamentali. Tuttavia, è incontestabile che la penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico-produttivo del Paese, così come la portata spesso epidemica del virus corruttivo nella pubblica amministrazione – e in certi contesti territoriali i due fenomeni sono spesso inscindibili –, esigono l’utilizzo di strumenti investigativi adeguati, rispetto alla portata cronica di tali fenomeni delittuosi».

Proprio su questi temi e a proposito dell’urgenza di nuove riforme, invocava un metodo che passasse «Per una (previa) analisi profonda dello stato dell’arte del diritto vigente. Con l’obiettivo di comprendere (…), se davvero sussista l’urgenza di una nuova modifica normativa (anche di carattere costituzionale), oppure se sia opportuna una “pausa di applicazione”, finalizzata all’adeguata verifica dell’impatto delle riforme già adottate, alcune di esse, peraltro, di recentissima introduzione». A fronte del rischio, in assenza di questa cautela di «incrementare in modo affastellato il sistema normativo, già di per sé ipertrofico, destabilizzando l’ordinamento e pregiudicando la sua conoscenza e accessibilità; finendo oltretutto per avallare un meccanismo, non sempre necessario, di delegittimazione della politica precedente del Paese».

Un invito a fermarsi e a riflettere dunque, prima di modificare riforme appena attuate che ancora attendono la prova dei fatti, che il dibattito di questi giorni non sembra avere raccolto.

Proprio il giorno della sua elezione una proposta di legge costituzionale sulla "separazione delle carriere", tra magistrati requirenti e giudicanti, è entrata in Commissione Giustizia alla Camera, benché la riforma Cartabia abbia già irrigidito la separazione delle funzioni. Se nel 2022 le richieste di passaggio da una funzione all’altra, ancora in parte con le vecchie regole, sono state appena 21 su 9.000 magistrati, con le regole attualmente in vigore potrebbero essere ancora di meno. Ma se non attendiamo di metterle alla prova, prima di cambiarle, non lo sapremo mai.

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