No, non è la società patriarcale che domina ancora la cultura di questo Paese che ha portato alla morte di Giulia Cecchettin e delle altre 100 e più donne quest’anno. La cultura patriarcale, per fortuna, non esiste più. È stata scardinata dai movimenti giovanili del ’68, ma purtroppo è stata cancellata anche la cultura del padre. Quando il padre è colui che insegna il sacrificio, la fatica, la capacità di sollevarsi dopo l’umiliazione, che insegna “i no che aiutano a crescere”.
Non domina il patriarcato, nuova parola d’ordine da striscioni di corteo, ma il narcisismo, la pretesa di avere tutto e subito, la fuga dal tempo, quando si cresce e si costruisce con pazienza, accettando e superando sconfitte. Non è colpa della famiglia tradizionale se le donne in Italia non sono abbastanza considerate. Di famiglie cosiddette tradizionali ce ne sono sempre meno, ed è spesso in famiglie lacerate o in non famiglie che covano le violenze e la sopraffazione. E non manca l’educazione affettiva nelle scuole.
Cosa significa? Chi la farebbe? C’è l’educazione civica, sempre trascurata, che dovrebbe contemplare lo studio dei diritti della persona, donne e uomini in parità, secondo la Costituzione. Ci sono la letteratura, la storia ma anche la storia dell’arte, delle scienze, dove le donne dovrebbero trovare lo stesso posto degli uomini, dove analizzare i comportamenti che ne hanno soffocato la creatività. Esiste un’educazione informatica per non essere obnubilati dalle volgarità dei social.
Non voglio che lo Stato metta mano all’educazione affettiva dei nostri figli, che dovrebbe essere lasciata alla libertà delle famiglie, degli insegnanti, degli psicologi, oggi presenti in ogni scuola. A meno che l’educazione affettiva significhi, stringi stringi, educazione sessuale, per ribadire teorie di parte: come quella del gender, o la dicotomia rabbiosa tra donne e uomini che si esprime in troppe manifestazioni di piazza.
Lo scopo sotteso è sempre il solito: considerare la famiglia una sentina di vizi, mai una risorsa, senza guardare le migliaia di famiglie che crescono un pezzo del nostro futuro, che si arrabattano tra tante difficoltà, cercando di volersi bene e di rispettarsi. Non tutte le famiglie sono infelici. Sono isolate, poco sostenute dal welfare statale, ma restano il cardine dell’intero sistema sociale di questo Paese.
Cancelliamo la famiglia, anziché supportarla: avremo uomini e donne sempre più soli e smarriti, e quindi preda di poteri commerciali, succubi di interessi politici. Le famiglie fanno quel che possono, lo Stato pensi ai suoi compiti: per esempio la parificazione degli stipendi, la disponibilità per le madri lavoratrici di asili nido e scuole materne, la casa, una rete preparata di forze dell’ordine, associazioni, all’insegna della sussidiarietà, in grado di cogliere i segnali del male segreto, di denunciarli, di accompagnare le donne in pericolo. Ma cercare solo colpe collettive non aiuta a sondare il mistero del male: le responsabilità sono sempre personali.
Non tutti gli uomini mal educati sono assassini. Non tutti i ragazzi maltrattati e soli diventano padroni delle loro compagne. Liberiamoci dal diktat illuminista che la società rende l’uomo malvagio.