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giovedì 23 marzo 2023
 
Il Papa in Messico
 

Il Papa in Messico, parla il cardinale Pietro Parolin: «Bisogna alzare la voce contro il male»

08/02/2016  Occorre «condannare la corruzione e i legami tra potere e narcotraffico, promuovendo i valori che danno senso alla vita», dice il Segretario di Stato, che spiega il significato del prossimo viaggio apostolico di Jorge Mario Bergoglio.

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede (Ansa). In alto: il Papa con la bandiera del Messico durante un'udienza a San Pietro. In copertina: una manifestazione della società civile messicana contro il dilagare della criminalità e della corruzione (Reuters).
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede (Ansa). In alto: il Papa con la bandiera del Messico durante un'udienza a San Pietro. In copertina: una manifestazione della società civile messicana contro il dilagare della criminalità e della corruzione (Reuters).

Sullo sfondo i 43 studenti che protestavano contro la corruzione del Paese, scomparsi nel 2014, e dei quali ancora si cercano i corpi. Uccisi di sicuro, secondo le testimonianze degli stessi carne…fici, dai narcotraffi…canti del gruppo "Guerreros Unidos". Per loro papa Francesco aveva pregato, a poche settimane dal rapimento e dall’uccisione dei ragazzi, parlando delle sofferenze del popolo messicano per questo e «per tanti problemi simili». Il Messico che aspetta il Papa mostra tutte le sue contraddizioni: violento e cattolico, meta dei poveri che si spostano nel Paese dalla fragile frontiera Sud del Chiapas, e sempre in guerra nel confi…ne Nord, lungo la linea che lo separa dagli Stati Uniti. Il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin ci guida a capire il significato di questo viaggio.

Eminenza, perché questa visita in Messico?

«Il viaggio di papa Francesco in Messico si inserisce nell’Anno giubilare della misericordia. Come lui stesso, con espressione direi poetica, ha indicato lo scorso 12 dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, il viaggio intende essere “una semina di amore misericordioso nel cuore delle persone, delle famiglie e delle nazioni” e un pellegrinaggio per chiedere “in maniera forte” alla Vergine che “le comunità cristiane sappiano essere oasi e fonti di misericordia, testimoni di una carità che non ammette esclusioni”. Questa grazia egli la chiederà per tutti gli ambienti e le realtà del Paese. Si incontrerà, infatti, con le autorità civili e con le comunità indigene, si recherà in un ospedale e in un carcere, parlerà ai giovani, alle famiglie, al mondo del lavoro, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Nello stesso tempo, la chiederà per tutta l’America, di cui Maria è madre e imperatrice. Le parole che Ella rivolse a san Juan Diego: “Perché hai paura? Non sono forse qui io che sono tua madre?” ritorneranno certamente più volte sulla bocca del Santo Padre, come stimolo e incoraggiamento ad affrontare le non poche difficoltà del presente e lavorare insieme per avanzare nella costruzione di un futuro migliore per tutti i figli e le figlie di un Paese meraviglioso e ricco di storia, di risorse, di potenzialità, come ho potuto io stesso sperimentare negli anni della mia permanenza a Città del Messico».

Il problema migratorio in Messico è particolarmente sentito. Quali sono le possibili soluzioni?

«Credo che sul tema delle migrazioni va fatto doveroso riferimento al discorso di papa Francesco, dello scorso 11 gennaio, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. In esso si è soffermato a riflettere sulle cause, a prospettare delle soluzioni, a invitare a combattere l’inevitabile paura che accompagna un fenomeno così massiccio e imponente. Quanto da lui detto in quell’occasione si può applicare anche al caso del Messico. In generale direi che gli atteggiamenti di chiusura e di indifferenza devono lasciar spazio a una cultura dell’accoglienza e dell’incontro, a partire dal riconoscimento del valore della mobilità umana e dalla disponibilità ad aiutare le persone concrete nelle loro necessità. La Chiesa in Messico è particolarmente impegnata su questo fronte e sta dando una bella testimonianza al riguardo. Bisogna poi porre attenzione al binomio povertà-emigrazione, che comporta nuove sfide, soprattutto quella della disgregazione delle famiglie. È importante cercare soluzioni attraverso la concertazione e la collaborazione di tutti i Paesi interessati. Ho constatato l’efficacia di tale approccio partecipando, ad esempio, al Seminario sull’emergenza umanitaria costituita dai bambini che emigrano soli verso gli Stati Uniti, provenendo soprattutto dall’America Centrale, per sfuggire la miseria e la violenza, che si è tenuto a Città del Messico nel luglio 2014».

Come affrontare anche il problema del narcotraffico?

«Il problema della droga e del narcotraffico è una delle piaghe dell’intero continente. Bisogna, innanzitutto, alzare la voce per condannare la corruzione e i legami che esistono tra certe strutture di potere e i cartelli della droga e i narcotrafficanti, cosicché costoro possono agire liberamente e impunemente. Inoltre, si deve operare in tutti gli ambiti legati al fenomeno, a livello soprattutto di educazione e di prevenzione: promuovere una formazione ai valori che danno senso alla vita, insistere sulla legalità e sulla sobrietà, creare una coscienza sempre più avvertita circa il pericolo della droga, incidere sulle cause sociali, quali la povertà e la disoccupazione, offrire concrete prospettive di uscita dalla dipendenza attraverso progetti di vita alternativi, sostenere le famiglie e le comunità che lottano contro la droga e si prendono a carico quanti ne sono vittime, sanare i territori e i quartieri periferici spesso difficili e degradati. La Chiesa ha un grande contributo da portare a questo scopo e non mancherà certo di continuare a svolgere il suo ruolo».

Soprattutto per questo impegno, la Chiesa conta un numero molto alto di martiri “per la giustizia”. Come aiutarla?

«Io direi mettendoci in sintonia con la proposta che ci fa papa Francesco nella Evangelii gaudium e cercando di trasformarla in stile di vita personale ed ecclesiale. Egli ha evidenziato che “esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri” (n. 48) e che ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri (n.187). Se non perderemo la memoria di coloro che hanno accettato di svolgere questo servizio ai poveri fino al dono della vita, seguendo Gesù e il suo Vangelo di giustizia e di amore, se sapremo apprezzarne e valorizzarne la testimonianza, che talvolta può diventare particolarmente scomoda per noi, se ci impegneremo a seguirne l’esempio, allora – io credo – potremo aiutare efficacemente la Chiesa latinoamericana. Senza dire che il primo aiuto viene a essa dallo stesso sangue dei martiri, perché, ieri come oggi, è vero che il sangue dei martiri è seme di cristiani».

Nonostante questa violenza il Paese resta molto legato, come tutta l’America del Sud, alla Madonna di Guadalupe. Perché questa devozione?

«La Madonna, nelle sue apparizioni a Juan Diego a Guadalupe, si è mostrata Madre piena di amore nei confronti di un popolo che stava vivendo una fase particolarmente travagliata della sua vicenda storica e, soprattutto, nei confronti degli umili e dei piccoli. A questo popolo Ella ha mostrato suo Figlio, come fonte di consolazione e di speranza. Ha saputo calare il Vangelo nella sua cultura e nelle sue fibre più profonde. Negli anni seguenti alle apparizioni, pur in mezzo alle tensioni e ai conitti, si assiste infatti a una ondata di conversioni che ha pochi paragoni nella storia della Chiesa. Questo, a mio parere, è il messaggio perenne di Guadalupe: l’invito ad accogliere Gesù nella propria vita e nella propria storia, personale, nazionale, continentale. “A Lei” ha detto il Papa lo scorso 12 dicembre, “rivolgo la supplica che guidi i passi del suo popolo americano, popolo pellegrino che cerca la Madre della misericordia, e le domanda soltanto una cosa: di mostrargli il suo Figlio Gesù”».

L'intervista è pubblicata sul numero 6 di Famiglia Cristiana, attualmente in edicola. 

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