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domenica 04 giugno 2023
 
Incontro con il teologo
 
Credere

Il senso della vita é darsi totalmente

20/01/2022  I giovani, l’arte, la fede: il teologo gesuita, che ogni settimana commenta il Vangelo in tv, racconta a Credere il suo cammino spirituale, iniziato con una Bibbia comprata di nascosto

Indagata, pregata, taciuta: la Parola è la cifra della storia di padre Jean-Paul Hernandez. È la Bibbia, che compra a 17 anni e divora con curiosità. È lo spagnolo, la lingua del cuore, che il gesuita svizzero usa per parlare con Dio. È l’afonia, il silenzio con cui, adolescente, custodisce il germoglio della fede. Crescendo, padre Jean-Paul le parole le ha trovate. Ha 53 anni, di lingue ne parla cinque; su Tv2000 commenta il Vangelo della domenica; segue gruppi di pastorale giovanile in Italia e in altri Paesi; dirige il master della Scuola di alta formazione di arte e teologia a Napoli. E insegna Escatologia e Cristologia: «Mi emoziona dover dire chi è Gesù». Ha tenuto fede all’impegno preso durante gli anni del liceo, a Friburgo, quando incontrò la Parola. «Comprai una Bibbia di nascosto e iniziai a leggere il Vangelo. Scoprii la relazione con Gesù di Nazaret come persona. Era affascinante, lasciava svanire tutto quello che pensavo fosse la religione: il dover dimostrare che Dio esiste e un insieme moralistico di regole, divieti, obblighi». Il pensiero interiore che si fece strada fu l’indicazione di un percorso di vita: «Se è vero che sei così ti seguo, vale la pena giocarmi totalmente».

FIGLIO DI MIGRANTI

Primogenito di una coppia emigrata in Svizzera per motivi di lavoro — mamma Concita metà italiana e metà catalana, papà José Maria castigliano di Madrid —, ben presto sente disaffezione «per una Chiesa che non rispondeva alle mie domande di adolescente su Dio, in qualche modo affascinato da professori atei militanti». Jean-Paul cammina da solo, fa alcuni incontri preziosi. Una biografia di Francesco di Assisi, che gli presta un amico protestante («Fu innamoramento a prima vista, mi dissi: “Non so se credo in Dio, ma voglio una vita così”»). E poi la scoperta delle Messe per i lavoratori immigrati, in spagnolo e in italiano: «Vi capitai per caso, scoprii una comunità di persone era agli antipodi da quello che i miei insegnanti di liceo sostenevano sulla perversione del cristianesimo. Lì respiravo verità e semplicità. A scuola facevo l’ateo ma in una piccola parte del mio cuore c’era questa comunità dove ero credente».

UNA FEDE INTELLIGENTE

Il seme della ricerca religiosa si nutre non solo di emozioni ma anche del bisogno di confutare un pregiudizio: «La fede, specie quella cattolica, era identificata con l’ignoranza. Cercavo un modello di credente cattolico colto». In questo frangente la lettura di una biografia di sant’Ignazio, e altri scritti sui Gesuiti, gli fecero intravedere una strada. E gli riportarono alla memoria il ricordo di due amici d’infanzia del padre: «Si erano conosciuto con mio padre alle Comunità mariane, le attuali Cvx (Comunità di vita cristiana, ndr). Erano poi diventati gesuiti. Padre Antonio era simpatico, estroverso, zampillante di vita. L’altro, padre Andres, estremamente umile, intelligente, colto. Erano due figure agli antipodi che dentro di me formavano un’unità, due modelli». Sono gli anni in cui Giovanni Paolo II ai giovani chiede il coraggio di diventare presbiteri, religiosi. «Pensai che mi piacevano molto le ragazze, mi sarei visto come padre di famiglia, ma se la Chiesa, che vedevo umiliata, aveva bisogno di sacerdoti, potevo provarci». Non parla con nessuno di queste cose, né frequenta la parrocchia. Solo qualche amico sa che è credente e va a Messa. Tante camminate in montagna, la comitiva, lo studio di Lettere classiche a Friburgo. Collabora con la Radio svizzera internazionale, traducendo il notiziario dall’inglese allo spagnolo, per le trasmissioni dell’America latina. Fa anche qualche intervista, incontra un anzianissimo Hélder Câmara. «Nel frattempo mi chiedevo quale tipo di consacrazione, se prete diocesano o gesuita. Ma mi sentivo timido, ero convinto di essere incapace di testimoniare la mia fede a parole». Tra il secondo e il terzo anno di università la carica interiore si va sgretolando, frequenta una ragazza, gli piace molto, vuole vederci chiaro. Si fida dei Gesuiti e, nonostante il termine “esercizi spirituali” non gli piaccia («mi sembrava una roba tipo palestra, lontana da quel dono dall’alto che si manifesta senza esigere niente in cambio»), nel segreto più assoluto va in Spagna per un ritiro vicino Madrid. «Il francese che parlavo a scuola per me non è la lingua di Dio. La mia fede è cresciuta in spagnolo, lo parlavo in famiglia». Quando esce dal corso di esercizi ha un pensiero ben chiaro in mente: «Voglio dare la vita per far fare ad altri questa esperienza, voglio comunicare questo incontro con Gesù, non altro». Le cose naturalmente non vanno secondo i piani previsti. Presa la laurea, mentre pensa dove fare il noviziato — «Quello dei Gesuiti per la Svizzera era in Austria, avrei dovuto studiare in tedesco!» — l’entusiasmo si affievolisce, incontra un’altra ragazza, inizia un dottorato di ricerca, subentra la noia.  Nell’estate del ’92 fa un altro corso di esercizi, a Casa Balthasar a Roma, con padre Jacques Servais. L’aiuto questa volta gli verrà da una rana: «Mentre passeggio nel giardino sento un ploff, una ranocchia che aveva fatto un salto nella pozzanghera. Sono scoppiato a piangere, un’emozione che oggi, usando il linguaggio di Ignazio, direi di “consolazione”. Ho capito che dovevo smettere di allungare i tempi e lanciarmi anch’io!». Entra nella Compagnia di Gesù, in Italia. Noviziato a Genova, poi le tappe classiche della formazione conclusa con il dottorato in teologa, Francoforte, nel 2004. Dove incontra un’esperienza che oggi porta il suo imprinting. «Partecipai al gruppo creato da due gesuiti e due dottorande: Lebendige Steine (Pietre vive), giovani che annunciano a chi entra in una chiesa l’amore gratuito che è Dio attraverso la spiegazione dell’arte e dell’architettura, la Bellezza attraverso la bellezza». Pietre vive a Francoforte termina, ma Jean-Paul la ripropone in Italia, a Bologna, nel 2008, e poi a Roma. Per fare Pietre vive, sintetizza il gesuita, occorre «l’esperienza degli Esercizi spirituali e qualche piccola chiave di lettura storico-artistica». Oggi i gruppi sono 45, nella maggior parte nelle grandi capitali d’Europa, ma da poco anche a Chicago, Città del Messico, Lima, Buenos Aires, Santiago del Cile. Si tratta di una rete dove padre Hernandez è coordinatore con sei giovani laici.

PARLARE AI GIOVANI

Arte e giovani sono stati i due fili rossi che accompagnano il percorso di Hernandez nella Compagnia di Gesù. Ma come parlare ai giovani? «Tre cose: proporre un’esperienza di incontro con la persona di Gesù, attraverso la Parola. Non una fede che sia un “dover essere”, moralistica, dei sensi di colpa, né dei massimi sistemi, ma una storia di amore. Un’esperienza, che in Compagnia proponiamo attraverso gli Esercizi spirituali, che è anche un atto di fede nostra, perché devi crederci che il Signore veramente c’è e incontrerà i cuori di questi giovani nel modo che Lui vorrà. La seconda cosa integra la prima: non disdegnare quella dimensione intellettuale che ti permette di dire che la fede non è una follia irrazionale, patologica, ma che ha la sua storia, le sue traduzioni culturali, nell’arte, negli scritti dei Padri, nella bellezza della liturgia. È uno dei doni più grandi che possiamo dare ai giovani. Molte iniziative propongono una spiritualità forte ma senza cervello, non vengono date le categorie che permettono di pensare a questa esperienza perché non ci sia divorzio tra emotività e razionalità. Infine, la comunità cristiana deve essere un luogo dove ci si sente a casa: è importante creare spazi, materiali e immateriali, in cui il ragazzo sa che può essere se stesso, che c’è qualcuno che lo ascolta e gli vuole bene».

L'ARTE E LA FEDE

La passione per la Parola e lacreatività hanno portato padre Hernandez a dirigere la Scuola di alta formazione di Arte e teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale. Un percorso che dallo scorso anno è diventato un master, frequentato anche da professionisti nell’ambito dell’architettura e della storia dell’arte. «Se le immagini di fede non le interpretiamo nell’orizzonte che le ha concepite, c’è un impoverimento prima di tutto culturale, e poi anche teologico. L’arte parla anche alla nostra fede. Ed è ambito di incontro con i non credenti», dice il gesuita. Nel raccontare la sua storia, prendendo spunto dall’arte e dalla Parola, Hernandez cita la Vocazione di Matteo dipinta da Caravaggio: «I diversi personaggi intorno al tavolo sono almeno quattro tappe di un lungo cammino vocazionale: il primo ricurvo e chiuso in se stesso, ha mani da maiale; il secondo più filosofo, riflette; il terzo è il bambino che trova libertà e purezza. E il quarto è il giovane che si alza e varca l’abisso. Si butta… come la rana!».

CHI É JEAN-PAUL HERNANDEZ, IL TEOLOGO DELLA BELLEZZA

Età 53 anni

Professione Docente di teologia

Famiglia Compagnia di Gesù

Fede Attivo nella pastorale giovanile e nell’annuncio del Vangelo

Nato in Svizzera nel 1968 in una famiglia di immigrati spagnoli, dopo una giovinezza irrequieta Jean-Paul Hernandez entra nel noviziato dei Gesuiti a Genova nel 1992. Dopo l’ordinazione sacerdotale inizia la sua pastorale fra i giovani, partecipando ai gruppi Pietre vive, di cui oggi è coordinatore: una rete internazionale che annuncia a chi entra in chiesa l’amore gratuito di Dio attraverso la spiegazione dell’arte e dell’architettura. Vive tra Roma e Napoli, dove è docente alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Commenta il Vangelo della domenica per la trasmissione Sulla strada in onda ogni sabato alle ore 14.35 su Tv2000.

 
 
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