Cari amici lettori, mentre scrivo è il nono anniversario dell’elezione di papa Francesco, ma il pensiero di tutti – e anche del Santo Padre – è rivolto al dramma di una nazione, l’Ucraina, aggredita dalla Russia, che si sta consumando sotto i nostri occhi. Una guerra iniqua, portatrice di morte e distruzione per tanti civili innocenti, da cui tutti usciranno perdenti se non si trova modo di fermarsi.
All’Angelus del 13 marzo, Francesco ha lanciato un vibrante appello mentre ricordava la città di Mariupol, la «città martire della guerra straziante» in Ucraina: «Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri». Due volte si è appellato al «nome di Dio»: «In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!».
Parole che non potevano essere più chiare e nette e che chiamano le cose col loro nome. La Santa Sede – come il cardinale Pietro Parolin ha ribadito a più riprese – è disponibile in qualsiasi modo per favorire una trattativa diplomatica per fare cessare la guerra. E il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali cattoliche dell’Unione europea, ha scritto una lettera al patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, chiedendogli di rivolgere «un appello alle autorità russe affinché cessino immediatamente le ostilità contro il popolo ucraino».
Stiamo vedendo quasi in diretta l’enorme tragedia umana, materiale, sociale della guerra. Ne diamo conto anche in due nostri servizi, che ci raccontano la guerra attraverso lo sguardo di un prete greco-cattolico della città di Dnipro e l’impegno di alcune fedeli in una parrocchia di Milano, che ci dà la dimensione concreta, “feriale”, di questo dramma, con oltre due milioni di profughi, il più grande numero di sfollati dopo l’ultimo conflitto mondiale.
Sono storie dolorose, che facciamo persino fatica a immaginare. Storie che fanno intravvedere come, al fondo di ogni guerra, c’è un’idolatria a cui si sacrifica tutto: che si tratti di un’ideologia, del “mito” della nazione, del prestigio, di vantaggi economici, c’è l’adorazione della “bestia”, il potere che diventa demoniaco. Cari amici lettori, raccogliamo l’invito di Francesco ad «aumentare i momenti di preghiera per la pace». Davvero è il momento di una supplica intensa «per chi soffre e perché Dio converta i cuori a una ferma volontà di pace». Perché «Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra», ha ammonito il Papa, «e chi appoggia la violenza ne profana il nome». È questa la profezia che, con voce unanime, in questa ora cupa la Chiesa pronuncia ad alta voce.