Il grande silente ha parlato. Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, cioè in pratica il capo della Chiesa ortodossa russa e notoriamente legato a doppio filo a Vladimir Putin, è stato sollecitato più volte nei giorni scorsi, sia dal fronte cattolico che da quello ortodosso, a pronunciarsi chiaramente contro la guerra d’invasione in Ucraina. Un silenzio clamoroso, se confrontato con i ripetuti appelli alla pace di papa Francesco che nell’Angelus di domenica scorsa, oltre a invitare a pregare per le vittime del conflitto, ha dato una valutazione chiara di quello che sta accadendo in Ucraina: «Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria», ha detto Bergoglio, «in quel Paese scorrono fiumi di sangue e di lacrime».
Nel sermone della “Domenica del Perdono”, che in Russia apre la Quaresima, Kirill nella Cattedrale moscovita del Cristo Salvatore non ha mai pronunciato la parola “guerra”, ha affermato che lo «scoppio delle ostilità» è arrivato dopo che «per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass, dove c'è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale».
Secondo Kirill «oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo “felice”, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della libertà» visibile. Il riferimento del Patriarca è alle manifestazioni gay e Lgbt «progettate», ha detto, «per dimostrare che il peccato è una delle variazioni del comportamento umano. Ecco perché per entrare nel club di quei Paesi è necessario organizzare una parata del Gay Pride. E sappiamo come le persone resistono a queste richieste e come questa resistenza viene repressa con la forza. Ciò significa che si tratta di imporre con la forza un peccato condannato dalla legge di Dio».
Secondo Kirill, »ciò che sta accadendo oggi nell'ambito delle relazioni internazionali, quindi, non ha solo un significato politico» ma «si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l'umanità. Tutto ciò che dico non ha solo un significato teorico e non solo un significato spirituale. Intorno a quest’argomento oggi c'è una vera guerra», ha rimarcato. «Siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico», ha quindi insistito a proposito della necessità di combattere, «so come, purtroppo, gli ortodossi, i credenti, scegliendo la via di minor resistenza in questa guerra, non riflettano su tutto ciò a cui pensiamo oggi, ma seguano umilmente la strada che mostrano loro i poteri costituiti».
Il Patriarca ha poi affermato che «i nostri fratelli nel Donbass, gli ortodossi, stanno indubbiamente soffrendo, e noi non possiamo che stare con loro, soprattutto nella preghiera». Allo stesso tempo, «dobbiamo pregare affinché la pace giunga al più presto, che il sangue dei nostri fratelli e sorelle si fermi, che il Signore inclini la sua misericordia verso la terra sofferente del Donbass, che ha portato questo segno triste per otto anni, generato dal peccato e dall'odio umani». Non una parola sugli ucraini sotto le bombe e costretti a fuggire dal proprio Paese.
Sui social, soprattutto Twitter, molti lo hanno criticato per aver approvato "la narrativa di Putin sull'Ucraina" mentre il corrispondente del Wall Street Journal Matthew Luxmoore ha scritto: «Non sorprende che il patriarca ortodosso russo Kirill abbia approvato la narrativa di Putin sull'Ucraina in un sermone di oggi. Secondo lui, l'Occidente organizza essenzialmente campagne di genocidio contro i paesi che rifiutano di organizzare parate gay».
Non ha mai pronunciato la parola "guerra"
In questi giorni di guerra, e prima di domenica scorsa, Kirill ha sempre tenuto il profilo basso e ha evitato di nominare Putin anche dopo che nei giorni scorsi un gruppo di sacerdoti e diaconi ortodossi russi e ucraini aveva condannato apertamente la guerra in atto definendola “fratricida”.
Il 3 marzo il Patriarca si è incontrato con il Nunzio apostolico mons. Giovanni D’Agnello, al quale ha detto di apprezzare la posizione «moderata e saggia della Santa Sede su molte questioni internazionali»; posizione che «è coerente con quella della Chiesa ortodossa russa». Anche se Roma ha più volte parlato di guerra e condannato l’invasione dell’Ucraina mentre Mosca è rimasta in silenzio o ha dato letture decisamente filo-putiniane. Ma Kirill ha anche aggiunto che «è molto importante che le chiese cristiane, comprese le nostre, volontariamente o involontariamente, non partecipino a quelle tendenze complesse e contraddittorie che sono oggi presenti nell’agenda mondiale».
Una dichiarazione che diversi analisti hanno letto come una sorta di sconfessione di affidare un’eventuale missione diplomatica alla Santa Sede che avrebbe un ruolo “terzo” e imparziale.
Il 24 febbraio scorso, subito dopo l’inizio del conflitto e prima di chiudersi nel silenzio, Kirill aveva diffuso un breve comunicato dove, ancora una volta, non compariva mai la parola “guerra”, per dire di essere vicino alla «sofferenza delle persone causata dagli eventi che si susseguono». Poi, come «Patriarca di tutta la Russia e Primate della Chiesa, il cui gregge è in Russia, Ucraina e altri Paesi», si era detto «solidale con tutti coloro che sono stati toccati dalla sventura», invitando «tutte le parti in conflitto a fare tutto il possibile per evitare vittime civili». Infine, aveva dato una lettura che ricalcava le motivazioni con cui Putin ha scatenato la guerra: «I popoli russo e ucraino hanno una storia comune secolare che risale al battesimo della Russia da parte del santo principe Vladimir. Credo che questa comunione donata da Dio aiuterà a superare le divisioni e le contraddizioni sorte che hanno portato all'attuale conflitto».
Nel 2018 scoppia la questione dell'indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina
Ma chi è Vladimir Michajlovič Gundjaev, nato a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) il 20 novembre 1946, consacrato vescovo nel 1976 ed eletto il 27 gennaio 2009 con 508 voti su 702 sedicesimo Patriarca di Mosca dopo la morte di Alessio II?
Prima della vocazione, faceva il tecnico cartografo per la spedizione geologica di Stato tra i geli e le popolazioni dell’Estremo Oriente russo. Sia il nonno che il padre erano sacerdoti della Chiesa ortodossa bandita e perseguitata nei primi anni del comunismo. Il primo aveva collezionato quarantasette incarcerazioni, sette condanne all’esilio, trent’anni in totale di detenzione. Il secondo, sacerdote anche lui, aveva passato più di tre anni per «mancata lealtà politica» in un gulag della famigerata Kolyma, in Siberia.
Finito il seminario, la carriera ecclesiastica di Kirill si sviluppa a un ritmo impressionante: segretario del Metropolita della città, rettore dell’Accademia spirituale, arcivescovo, presidente del comitato rapporti esterni del Patriarcato, infine metropolita.
A Putin, definito una volta un "miracolo di Dio" lo lega una vecchia amicizia: si dice maliziosamente che i due abbiano stretto buoni rapporti quando erano entrambi agenti del Kgb. Guida 165 milioni di fedeli sparsi nel mondo.
Colto, politicamente abile, capace di diverse aperture come quando da rettore dell’accademia sorprende tutti imponendo nuovi corsi aperti anche alle donne ma, soprattutto, le lezioni di Educazione fisica: «Perché mai un religioso non dovrebbe curare il proprio corpo?».
Tra i suoi hobby, lo sci alpino, l’allevamento dei cani di razza, lo sci acquatico, gli orologi di lusso, come quello esibito (e poi cancellato con Photosop dopo le proteste dei fedeli) durante un’udienza nel Patriarcato di Mosca.
Kirill non è un tipo diplomatico come dimostra l’atteggiamento avuto nei confronti della chiesa ortodossa ucraina, un mix di questioni storiche, religiose e politiche, che deflagra nel 2018, quattro anni dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin. Il presidente ucraino Petro Poroshenko, predecessore di Zelensky, chiede a Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, di autorizzare l’autocefalia, cioè l’indipendenza, della chiesa ortodossa d’Ucraina. Il capo dello stato spiegava che il fine della richiesta consisteva esclusivamente nella volontà di porre termine allo scisma tra la chiesa ucraina dipendente da Mosca e quella del patriarcato di Kiev, considerato appunto scismatico.
Una situazione che risale ai primi anni Novanta, quando alla costituzione della chiesa ortodossa autonoma posta sotto la giurisdizione di Mosca si affiancò due anni più tardi il cosiddetto patriarcato di Kiev, fondato da Filarete in risposta al diniego russo di concedere l’autocefalia a Kiev. Poroshenko sapeva bene che la mossa avrebbe provocato l’ira di Mosca, acuendo una crisi già complicata dove ogni goccia di benzina gettata sul fuoco rischiava di far divampare l’incendio. «Come nel caso dell’adesione alla Nato e all’Unione europea, non chiederemo il permesso a Vladimir Putin o a Kirill», aveva detto in un’intervista Poroshenko lanciando il guanto di sfida.
Dopo che il patriarcato di Costantinopoli aveva nominato due esarchi per Kiev con l’obiettivo dichiarato di «garantire l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina», Kirill aveva risposto senza troppa diplomazia. In un comunicato durissimo, il capo del dipartimento sinodale per i Rapporti con chiesa, società e media del patriarcato di Mosca, Vladimir Legoyda, aveva detto che si tratta di una «pesante e senza precedenti incursione nel territorio canonico del patriarcato di Mosca»; promettendo che un’azione «del genere non può essere lasciata senza una risposta». A rincarare la dose, l’arciprete Andrey Novikov, membro della Commissione teologica del patriarcato di Mosca, che in un’intervista all’agenzia Interfax aveva detto: «Tutte le espressioni secondo cui senza il patriarcato di Costantinopoli le altre chiese locali sono come pecore senza pastore, e che Costantinopoli possiede certe esclusività e incarna l’ethos dell’ortodossia avendo anche diritti speciali di giurisdizione finale su tutta la chiesa per assicurarne l’unità, riprendono le opinioni cattoliche sul ruolo del Papa nella chiesa, e questa è già una pura eresia».
Per Kirill la “via occidentale” alla fede cristiana è una via perdente, che annacqua la religione, è tiepida sui grandi temi etici, a cominciare dall’aborto, e offre molte concessioni, anche solo per quieto vivere, al mondo secolare e ai dogmi del “politicamente corretto”. Nel 2014, in occasione del Natale ortodosso, il Patriarca in un’intervista televisiva aveva parlato, riferendosi all’Occidente, di “disarmo spirituale delle masse”.
Spesso, aveva detto, «il diritto a professare apertamente la propria fede cristiana è violato in un occidente ossessionato con la questione della protezione dei diritti umani». Aveva citato il caso della giornalista norvegese fatta sparire dal video perché rea di portare al collo una piccola croce, o di infermiere costrette a rivedere il proprio abbigliamento perché manifestamente cristiano. Certo, aveva aggiunto, in «Europa i valori cristiani sono ancora presenti nella vita delle persone. Ma la tendenza politica generale, la direzione generale delle élite è indubitabilmente anti cristiana e anti religiosa. Noi abbiamo conosciuto l’ateismo e quindi vogliamo lanciare un grido al mondo intero: fermatevi, noi sappiamo che tipo di vita è quella».
Una visione pugnace, da combattente che però non s’è vista nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina che sta provocando la morte di migliaia di civili, molti dei quali bambini.