Ma l'Europa dell'Est è ancora Europa? Certo, detto così suona molto polemico. Ma prendiamo in esame i fatti. Il cosiddetto Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) è in rapporti tesi con l'Europa occidentale, sul tema dei migranti ma, prima ancora, sull'atteggiamento da tenere nei confronti della Grecia; e addirittura conflittuali con il più grande vicino a Est, ovvero la Russia. E sono finora riusciti a trascinare nelle proprie scelte l'Europa comunitaria, che non è finora riuscita a varare un serio piano per i flussi migratori proprio a causa di questi Paesi, mentre si è acconciata a pagare il costo del conflitto con la Russia decidendo la politica di sanzioni economiche contro Mosca. Un prezzo salato, che ricade soprattutto su Paesi come Francia, Italia e Germania (prima tra i principali partner economici della Russia) e molto meno, appunto, su quelli del Gruppo di Visegrad. Come sanno bene gli agricoltori che negli scorsi giorni hanno protestato a Bruxelles davanti agli uffici della Ue.
Quando si parla di Europa, e di appartenenza, si fa di solito riferimento al passato comune. Alla storia, a ciò che successe. Ma se si prova a rileggere il "Manifesto di Ventotene", il documento fondativo della nuova identità europea, scritto da Altiero Spinelli con Ernesto Rossi nel 1941, cioè quando nazismo, fascismo e comunismo staliniano erano ancora potentissimi, si nota che in esso si parla soprattutto di futuro. Di ciò che si sarebbe dovuto fare da quel momento in poi.
Ecco, quei grandi e rispettabilissimi Paesi europei del Gruppo di Visegrad hanno davvero un'idea di futuro uguale, o anche solo simile, alla nostra? E' difficile crederlo. Da quando sono riusciti, con tanto serio lavoro e anche grazie ai fondi strutturali con cui la Ue li ha aiutati e li aiuta nel processo di inserimento (Polonia, 80 miliardi ricevuti tra 2007 e 2013; 27 miliardi alla Repubblica Ceca negli stessi anni; 15,3 miliardi alla Slovacchia; 34,3 miliardi di euro all'Ungheria per il periodo 2014-2020), a rilanciarsi dalla depressione post-comunista, questi Paesi hanno quasi sempre fatto scelte difficilmente compatibili con l'appartenenza europea.
Nel 2008, per esempio, Polonia e Repubblica Ceca hanno siglato con gli Usa il trattato per installare lo scudo spaziale che ha una valenza strategica chiaramente anti-russa, coinvolgendo il resto dell'Unione in una scelta complessa e non priva di rischi. Nel 2003, in un'Europa molto restia a schierarsi accanto alle ambizioni neo-coloniali di George Bush e già presaga dei disastri che ne sarebbero derivati, questi Paesi furono i più decisi nel sostenere la necessità e l'utilità dell'intervento militare in Iraq. Oggi, di nuovo accanto alla Gran Bretagna, sono i più decisi nel minare ogni progetto di politica comunitaria sui migranti.
Va all'Europa la prima fedeltà di questi Paesi? E' lecito dubitarne. Va a una serie di ideali comuni e a un futuro condiviso la loro aspirazione? Anche qui, lecito dubitarne.