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sabato 26 aprile 2025
 
 

L'Italia? Oggi ce la racconta la fiction

30/12/2014  «La gente non vuole più storie false e patinate. Vuole credere in ciò che vede», osserva l’attore Paolo Calabresi, ora in Tv con la serie “Zio Gianni”, in onda in prima serata su Rai 2

Il suo nome: Gianni Coletti. La sua età: 50 anni. La sua professione: ragioniere disoccupato e precario. È sposato e ha un figlio di 7 anni. Ma quando perde il lavoro anche sua moglie lo butta fuori di casa. Una storia fin troppo attuale nell’Italia sprofondata nella crisi nera: il dramma di chi si ritrova, tutto a un tratto, senza lavoro, senza famiglia, senza una casa, non più così giovane da non avere niente da perdere, neppure abbastanza anziano da poter sperare nella pensione.
Gianni Coletti è il protagonista della nuova fiction Zio Gianni (coprodotta dalla Rai con Ascent film), in onda su Rai 2 in prima serata nella formula di una serie di minipuntate di 9 minuti ciascuna. Una fiction che, attraverso il filtro dell’ironia e della leggerezza, guarda alla realtà sociale del nostro tempo. A vestire i panni di zio Gianni è il bravissimo Paolo Calabresi, volto noto del teatro, del cinema e della Tv.
Prendendo spunto dalla nuova serie, l’attore riflette sulla tendenza del mondo della fiction in questi anni: essere specchio della società e del nostro tempo, non limitarsi al puro intrattenimento, ma farsi portavoce di istanze sociali ed educative e di valori etici.

- Calabresi, chi è zio Gianni?
«Il ragioniere Gianni Coletti non è né giovane né vecchio, è in quella fascia di età, che è anche la mia, in cui uno non sa bene dove collocarsi, se indossare la maglietta o la camicia. Appartiene alla mia generazione: i nostri padri sono cresciuti nel boom economico. Gianni è uno sconfitto, una brava persona continuamente vessata dalla vita.
Anche dai tre ragazzi molto più giovani di lui con i quali va a coabitare per dividere le spese dell’affitto. Gianni, però, ha qualcosa che lo salva: non si dà mai per vinto, ci prova sempre. È un po’ come Willy il coyote: lo struzzo non lo prenderà mai, gli spettatori lo sanno, ma lui no e in ogni puntata ci riprova sempre con maggiore energia.
La cosa interessante è che trattiamo temi tragici, come tragica è la vita di Gianni: perdere nello stesso giorno famiglia e lavoro è una situazione che spingerebbe molti a gesti estremi. In questa tragedia la fiction racconta che l’importante è continuare a credere e non perdere mai il sorriso».

- Lei ha l’età di Gianni Coletti, si riconosce in qualche modo in lui?

«Io ho quattro figli, e la cosa sorprendente è che li ho avuti con la stessa moglie! Nel mio ambiente sono un animale in via di estinzione... L’attore per sua natura si sente sempre un po’ precario, e se hai quattro figli ancora di più. Così, ho vissuto momenti “ziogianneschi”.
Ma dico a me stesso che quello che la vita ti offre va accettato: il rischio per un attore è diventare snob, rifiutare ad esempio di fare una fiction perché ha lavorato in un film di un regista importante.
Ma così si nega la possibilità di crescere. Io stimo di più gli attori che riescono a essere credibili in una fiction piuttosto che il protagonista di un film d’autore».

- Raccontare l’Italia e la società attraverso le fiction, quindi, è possibile.
«Certo, purché, a mio parere, le fiction abbiano caratteristiche di verità e credibilità. La gente oggi vuole credere a quello che vede, non vuole più sentirsi raccontare delle storie patinate, falsamente rassicuranti. Le fiction dovranno andare in questa direzione».

- In effetti, questa sembra la strada già intrapresa dalla Tv.
«Ma c’è un altro passo da compiere: la metodologia del racconto. Non basta proporre un tema sociale forte, bisogna offrire una lettura accattivante che non tratti lo spettatore come uno scemo al quale bisogna spiegare tutto come se non fosse in grado di intendere e di volere. Abbiamo superato la fase in cui la televisione serviva come una sorta di “droga” per entrare in uno stato di poca coscienza: questa Tv l’abbiamo assorbita per troppo tempo e ha portato dei danni gravissimi nel nostro Paese. Per trent’anni siamo stati assuefatti a un certo tipo di programmi. Ora le cose sono cambiate. Nell’ambiente televisivo c’è un maggiore dinamismo, il desiderio di mettersi in gioco. Un po’ come fa zio Gianni, che non ha problemi a indossare il costume da panda nelle feste per bambini per guadagnare qualcosa. Per farlo ci vuole coraggio, lo stesso coraggio che ora chiediamo a chi decide i palinsesti in televisione».

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