Cari amici lettori, la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina sta purtroppo continuando e non si intravvedono ancora spiragli certi di pace. In questo conflitto assurdo e ingiustificabile – che, come ha scritto papa Francesco a monsignor Gintaras Grušas, presidente della Consiglio delle Conferenze episcopale d’Europa, finisce per colpire «la gente indifesa», costretta a subire «ogni forma di brutale violenza» a causa di «un abuso perverso del potere e degli interessi di parte» – colpisce però il coraggio di tanti uomini e donne. Una virtù umana, civile, ma anche cristiana che brilla in mezzo a tanto buio. Mi ha fatto pensare alla «ferma decisione» con cui Gesù sale a Gerusalemme (Luca 9,51).
Penso innanzitutto al coraggio di tante donne e madri ucraine: lasciare una casa magari distrutta, prendere con sé bambini e poche cose per un viaggio pericoloso e un futuro incerto, doversi separare dai mariti che rimangono a difendere la loro patria, oppure restare barricate in città bombardate, nel buio di cantine e metropolitane in condizioni subumane, richiede un coraggio e una capacità di resistenza interiore immense.
Veniamo a sapere di qualcuna di queste storie grazie a stampa e tv, ma tante altre esperienze di resilienza rimarranno nascoste. Penso anche al coraggio e alla dignità di un popolo che difende la propria casa, la propria terra, la vita dei propri cari. Penso poi al coraggio di chi in Russia osa manifestare il proprio dissenso contro Putin e contro la guerra: un atto altamente rischioso in un regime autoritario come quello russo. Ne ha dato prova la giornalista russa Marina Ovsyannikova, che per qualche istante è apparsa, in diretta, nel telegiornale più seguito della tv russa, con la scritta “No war” (no alla guerra), aggirando i controlli all’entrata dello studio. Un atto civile coraggioso, che in Russia comporta conseguenze.
Penso anche al coraggio di padre Mykhajlo Melnyk, sacerdote della Chiesa greco-cattolica ucraina, che insieme ad altri preti di Irpin è andato a chiedere ai soldati russi di poter recuperare i corpi dei civili morti per poterli seppellire, riuscendo così a raccogliere 63 cadaveri, rimasti per strada da 2-3 giorni. Penso infine al coraggio e alla vicinanza cristiana di preti, i religiosi e vescovi locali che testimoniano di essere pastori della loro gente nelle circostanze drammatiche della guerra. Come ha raccontato il vescovo cattolico di Karkhiv, Pavlo Honcharuk, che con i suoi preti visita regolarmente le persone rifugiate nella stazione della metropolitana, dove vivono e dormono per sfuggire ai bombardamenti: «Così testimoniamo la presenza di Dio, il fatto che Lui è con noi. Questo è un modo per trasmettere il Vangelo. Questa è la nostra pastorale oggi».
Tante vicende tragiche anche in questo caso (ne raccontiamo una nel servizio a pag. 12), dove il coraggio si intreccia alla fede e alla solidarietà cristiana per le vittime. Una tenue speranza di chi tesse fili e costruisce ponti, là dove altri distruggono e seminano morte. Preghiamo dunque perché prevalga l’unica via sensata che permette a tutti di vivere nel senso pieno della parola: la pace.