di Gabriele Conti
Nel sistema scolastico italiano, già alle prese con dispersione e calo demografico, si riaccende il dibattito sull'educazione all'affettività. Virginia Kaladich, presidente nazionale della Fidae, la Federazione degli istituti cattolici che raccoglie soprattutto scuole primarie e secondarie, ci racconta che momento è questo per le paritarie cattoliche e quali sono le sfide all’orizzonte.
Presidente Kaladich, è l’anno zero per la scuola?
«Per la scuola non c’è mai un anno zero, perché partiamo sempre da ciò che di buono è stato fatto e i nostri istituti, molti dei quali nati prima dell’Unità d’Italia. Hanno una ricchezza inestimabile di buone pratiche che in tanti territori, soprattutto quelli montani o quelli più sperduti, hanno rappresentato un punto di riferimento importante per il sistema d’istruzione di tutto il Paese. Oggi però siamo pronti per affrontare nuove sfide, l’emergenza sanitaria e sociale post pandemica, la guerra in Ucraina e ora il conflitto in Medio Oriente: c’è un mondo che sembra andare in pezzi e a farne le spese sono i nostri ragazzi che hanno sempre più difficoltà a sognare, a guardare con fiducia e speranza al loro futuro. Ecco perché quest’anno abbiamo scelto di mettere al centro di tutte le attività della Federazione due temi, l’incanto e la meraviglia. Sono due categorie del pensiero che possono sembrare molto “alte” e poco in sintonia con il mondo reale e che invece abbiamo declinato in azione e in fatti concreti, anche grazie ai giorni di convegni ed eventi che si sono svolti qualche giorno fa a Roma, dopo la nostra 78esima Assemblea».
E quali sono le azioni concrete che si possono tirare fuori dall’incanto?
«L’incanto, come ci ha detto anche il cardinale Matteo Zuppi in un incontro di fine estate, non è uno slogan ma è prima di tutto un invito a riscoprire quello che c’è di bello nel mondo che ci circonda. In un contesto sociale e culturale nel quale potremmo vederci rassegnati di fronte alla violenza e alla guerra, la scuola con il suo amore al sapere, può incantare, nel senso che può provocare nei suoi allievi e in chi la frequenta il desiderio di un “cambiamento di rotta”. Nei giorni degli eventi è stato citato spesso don Milani, visto che siamo ancora nel centenario dalla nascita, e mi pare che dobbiamo guardare agli educatori come lui e come San Giovanni Bosco, se vogliamo ritrovare la meraviglia nella trasmissione del sapere, nella formazione e nella cura dei nostri studenti: quanti ragazzi sono stati capaci di sognare, di diventare qualcuno, nonostante avessero meno possibilità di partenza? Quanti si appassionano ad una piccola scoperta, ad un piccolo esperimento fatto in classe che poi sarà solo il primo di una lunga carriera lavorativa? Non sono dei casi sporadici o delle eccezioni, o meglio, non devono esserlo: è questa la meraviglia che dobbiamo creare e rinnovare, e lo dobbiamo fare prima di tutto noi docenti, perché se non ci sappiamo meravigliare, se non ci lasciamo trasportare dalla bellezza, cosa possiamo trasmettere?»
Una ricerca di qualche giorno fa di Sant’Egidio evidenzia come la dispersione scolastica sia ancora una piaga per questo Paese.
«Si tratta di un fenomeno che abbiamo sottovalutato e che stiamo sottovalutando anche in questi anni, eppure i dati sulla povertà minorile parlano chiaro. Serve uno sforzo di tutti, prima di tutto delle istituzioni, ché investano in tutto il sistema scolastico, che curino ogni persona dalla prima infanzia affinché davvero tutti abbiano le stesse opportunità e soprattutto affinché coloro che sono più svantaggiati possano recuperare questo dislivello, migliorando la loro condizione. Combattere la dispersione scolastica significa far innalzare il capitale culturale e sociale del Paese, mettendo le basi per la società del futuro, potremmo dire quindi, senza scomodare altre ragioni, che conviene a tutti. E a questo proposito credo che l’incanto possa essere uno degli antidoti alla dispersione che molto spesso nasce da piccoli gesti, da giornate di noia, da ore e ore di disinteresse che poi si ingrandiscono e diventano veri e proprio buchi nell’anno scolastico: noi abbiamo il compito di curare le relazioni, la qualità di ciò che insegniamo, abbiamo il dovere di provocare ancora stupore, di rendere bello e attraente il sapere, di renderlo sempre nuovo, sempre in linea anche con le aspettative e con quello che poi resterà agli studenti. Solo così potremo capire che non esistono dei prototipi dello studente modello ma che ognuno è portatore di una storia, di una specificità, di una bellezza unica. Dobbiamo mettercela davvero tutta per far emergere le potenzialità, le competenze che ognuno ha e, prima di queste, le inclinazioni naturali, perché se sapremo incrociare una naturale propensione con un bagaglio di sapere, davvero avremo fatto un capolavoro».
La scuola è ancora un porto sicuro dove alunne e alunni possono trovare anche una guida nella loro crescita affettiva? «Anche in questo caso l’incanto e la meraviglia sono fondamentali perché la nostra specificità è stata e deve essere sempre di più quella di stabilire una relazione vera con chi abbiamo di fronte, dobbiamo essere prima di tutto dei testimoni credibili del messaggio che insegniamo, dirci cristiani non può essere solo un’etichetta da dare ai nostri istituti ma deve incarnarsi nel lavoro e nella vita di un docente, di un preside, di un direttore e di ogni collaboratore. Solo così saremo in grado di intuire e comprendere le fragilità di ognuno: i recenti fatti di violenza ci chiamano ad una riflessione ancora più profonda, che non si può esaurire con dei percorsi scolastici che seppure utili, devono presupporre una visione molto più ampia, che coinvolga in primo luogo le famiglie. Poi è chiaro che l’educazione alla parità di genere è molto importante, e la scuola è in qualche modo il primo luogo in cui ci si misura al di fuori delle dinamiche familiari: per questo come Fidae già da un anno abbiamo creato delle linee guida sulla parità di genere che proprio in questi giorni sono state adottate da un nostro istituto che riceverà una specifica certificazione».
Nel suo messaggio per la 38esima Giornata mondiale della Gioventù, Papa Francesco esorta i giovani a imboccare il sentiero della speranza.
«E questo ci ha fatto molto piacere, perché il messaggio è arrivato proprio all’indomani della chiusura dei nostri lavori ed è stato come se il Papa ci invitasse davvero a proseguire il nostro percorso, senza preclusioni, aprendoci anche agli altri. Sappiamo bene che ogni giorno le nostre scuole si trovano a vivere situazioni in cui il “respiro” sembra venire a mancare: il personale religioso che viene meno, le istituzioni territoriali che non sempre in modo tempestivo erogano i modesti contributi che ci vengono assegnati dal governo, la difficoltà a reperire personale docente che possa dirsi a tutti gli effetti “meritato”, l’inverno demografico che sta svuotando l’utenza di tutto il sistema scolastico. Nonostante tutto sappiamo che noi scuole paritarie cattoliche possiamo essere una luce, seppur piccola, ma che può arrivare davvero lontano».
Una luce che per non spegnersi ha bisogno però che tutti gli attori coinvolti nel processo educativo facciano la loro parte, a partire dalle istituzioni.
«La crisi economica che stiamo ancora attraversando ha messo in difficoltà soprattutto le famiglie, tante di loro facevano e fanno ancora dei sacrifici per poter mandare i figli in uno dei nostri istituti, e naturalmente anche le nostre scuole hanno dovuto fronteggiare grosse difficoltà, anche per gli aumenti dei costi dell’energia, del gas e di tanti beni necessari. Il rapporto con il nuovo Governo è buono, siamo in costante dialogo, e già alcuni passi avanti sono stati fatti: il coinvolgimento delle paritarie in un bando europeo del Pnrr e l’aumento dei fondi, ancora non sufficiente, per gli alunni disabili ci fanno ben sperare per il futuro perché crediamo che sia davvero giunto il momento di garantire quella libertà di scelta educativa che ancora in Italia non esiste, unico caso in Europa insieme alla Grecia. Speriamo davvero che si possa dare pieno compimento alla legge 62 del 2000 che sancisce la piena parità, in un’ottica di collaborazione vera tra statali e paritarie nel Sistema scolastico integrato che ha come obiettivo comune quello di curare e far crescere i nostri ragazzi».