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venerdì 21 marzo 2025
 
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"Palermo, non mollare"

16/08/2018  Ripubblichiamo un'intervista a Rita Borsellino sui veleni della città realizzata nel luglio 1995.

Ripubblichiamo l'intervista a Rita Borsellino effettuata nel luglio 1995, a tre anni dalla strage di via D'Amelio (nella foto, Rita Borsellino tra il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il capo dello Stato Sergio Mattarella).

 

Per Rita Borsellino ogni intervista è una piccola sofferenza, una violenza alla sua timidezza, un sottile prolungamento del dolore che l'ha colpita. Per questo non parla volentieri. Se si concede suo malgrado a questa tortura è per rinnovare l'impegno civile iniziato all'indomani della tragedia di via Mariano D'Amelio, quel 19 luglio di tre anni fa, quando suo fratello, il giudice Paolo Borsellino, morì insieme con i cinque agenti della scorta. Da allora lei vaga come un'Antigone da una scuola all'altra d'Italia, partecipa a cortei, a veglie di preghiera, sacrificando la famiglia e il lavoro in farmacia Ci Borsellino sono farmacisti da quattro generazioni). Dice che si fermerà solo quando Palermo avrà ritrovato la sua "normalità". Rita Borsellino odia anche le cerimonie pubbliche e ripugna i riflettori della politica. Ha accettato solo la vicepresidenza dell'Associazione Libera, che coordina tutte le realtà di volontariato e dell'associazionismo dedite alla lotta antimafia. «Quel nome riflette bene il mio genere di impegno».

Signora Borsellino, Palermo ha conosciuto un mo mento di grande resistenza civile contro la mafia all'indomani delle due stragi di Capaci e via D'Amelio, E oggi, a che punto siamo?

«Qui a Palermo, in coincidenza con i due anniversari delle stragi, si verifica sempre una maggiore presa di coscienza. C'è quindi un certo risveglio, dopo i mesi di indifferenza. E la cosa peggiore, perché quando si è "contro" almeno si è già qualcosa. C'è stato un periodo in cui tutti avevano voglia di archiviare. Ma archiviare non è possibile. Ci sono stati episodi che hanno contribuito a questo risveglio».

E quali?

«L'attentato a don Gregorio Porcaro, il sacerdote della parrocchia dell'Acquasanta che era stato parroco con don Puglisi, il prete di Brancaccio ammazzato dalla mafia. Don Gregorio di attentati ne aveva già subìti due, caduti sotto silenzio, ma il terzo è avvenuto mentre si celebrava Giovanni Falcone: questo ha dato risonanza all'avvenimento e ha risvegliato le coscienze. Sa, è facile tornare indietro qui a Palermo. Dopo la morte di Paolo sembrava che fossimo a un punto di non ritorno. E invece no, siamo tornati indietro. Si è parlato di cose che sembravano ormai acquisite e che invece sono state messe ancora una volta in discussione. Come l'articolo 41 bis sulla carcerazione dei mafiosi. Si sono fatte polemiche feroci sui magistrati, accusati di protagonismo, si è messo in discussione il ruolo dei pentiti. E intanto la mafia ringrazia e si rinvigorisce».

Chi sono oggi gli eredi di suo fratello?

«Tutti coloro che lavorano come lavorava lui, con onestà, mirando solo al raggiungimento dei suoi scopi. Vuole dei nomi? AlIora diciamo Giancarlo Caselli, che ha deciso di lavorare a Palermo la notte di quel 19 luglio. Non è certo il solo, ma ti rappresenta tutti».

Come vive il dibattito di questi giorni sulla custodia cautelare? Ha seguìto il caso Contrada?

«Io non mi sostituisco mai al lavoro dei magistrati. Aspetto con fiducia la sentenza della corte che lo sta giudicando. Quanto alla custodia cautelare, perché se ne parla solo a proposito dei politici o dei pezzi grossi? La giustizia è uguale per tutti. Mi sta bene parlare di Contrada, di Cagliari, sul piano umano; meritano rispetto. Ma perché non si parla anche dei detenuti meno famosi?».

Lei crede nel pentimento dei cosiddetti "collaboratori di giustizia"?

«È più giusto chiamare i penti ti "dissociati". Quanto all'autenticità del loro pentimento non posso certo giudicare io la loro coscienza. lo non mi chiedo quali sono le ragioni di un mafioso che collabora con la giustizia: so solo che ha deciso di passare dall' altra parte e che con questo aiuterà i magistrati a debellare la mafia».

Crede che il processo sulla strage di via D'Amelio possa fare veramente giustizia?

«Scherza? Ancora siamo a niente, Non siamo nemmeno all'antefatto. Anche se si condannassero i vari boss. lo non credo proprio che un giorno Riina si sia svegliato e abbia detto a Bagarella: ammazziamo Paolo Borsellino. Ritengo che dietro ci sia un disegno molto più ampio. Davvero crede che a reggere un'organizzazione come Cosa nostra siano solamente i Riina e i Bagarella?».

Voltiamo pagina. Come andò con Berlusconi quel lO ottobre del '94?

«Ancora con questa storia? Saranno state le 17, ero sola in casa, in via D'Amelio, e avevo una gamba ingessata. Suona il citofono. Un colonnello dei carabinieri mi informa che il presidente del Consiglio Berlusconi sta salendo a farmi visita. Non ero in condizioni di riceverlo, così, senza preavviso. Suonano una seconda volta. È il prefetto Rossi che torna sulla questione. Spiego che non posso, ma lui suona altre due volte. Quando penso che il tira e molla sia concluso suona ancora il citofono. È Berlusconi. Dopo alcune frasi di circostanza mi chiede: "Signora, cosa possiamo fare contro la mafia". Rispondo: "Me lo chiedete voi che siete al governo e potete fare tutto?". E lui: "Ma se ci lasciano fare tutte le cose belle che vogliamo fare per l'Italia ... Invece non ci lasciano lavarare", Questo mi irrita più delle 5 citofonate. Gli dico: "Anche a mio fratello non gliele lasciavano fare tutte le cose belle che voleva, eppure ha cercato di farle lo stesso". Si congeda dicendomi: "La chiamerò da Roma con più calma"».

E la chiamò?

«No. E comunque non è che mi importi molto».

Palermo è una città "avvolgente", capace di schizzare fango e veleni su chiunque. Non ha risparmiato nemmeno Giovanni Falcone. Come ha fatto Borsellino a rimanerne immune, come evitava le "relazioni" pericolose?

«Credo che Paolo, in ogni momento della sua giornata, facesse i conti con la sua coscienza. Era un credente, aveva fede. Per questo non aveva paura di inciampare. Non scendeva mai a compromessi. Ogni tanto me lo diceva: guarda che, se necessario, arresterei anche te. Non faceva nessuno sforzo nel comportarsi così».

Contro la mafia la Chiesa palermitana sembra avere assunto un ruolo guida...

«Sembra proprio così, dopo anni in cui è rimasta in silenzio. Ma è stupido parlare di preti antimafia. Il prete, se è tale, è antimafia, perché la mafia è quanto di più maligno ci sia».

Cosa dice ai ragazzi, quando li incontra nelle cuole o durante le manifestazioni?

«Parlo più dell'uomo Borsellino che del magistrato. E spiego che ciascuno di noi può essere Paolo Borsellino, purché sia coerente con sé stesso».

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