Quando ammazzano i “tuoi”, civili innocenti andati in pace all’incontro con altri Paesi e altri popoli, è poi difficile non farne una questione personale. Nel caso della strage di Tunisi e dei quattro morti italiani, una questione nazionale. Però si ha ugualmente l’impressione di una certa superficiale schizofrenia nell’analisi dell’evento e delle sue possibili conseguenze.
Ora l’attenzione è focalizzata sui due più importanti gasdotti che, a partire dai giacimenti dell’Africa del Nord, riforniscono l’Europa: il Ttpc, lungo 370 chilometri, che dall’Algeria, attraverso la Tunisia, porta il gas fino alla Sicilia; e il Greestream, lungo 570 chilometri, che fa altrettanto ma a terra scorre solo in Libia. Ci diciamo che, visti i rapporti tesi con la Russia (principale fornitore di gas dell’Europa), questi gasdotti sono ora vitali per le nostre economie e variamo l’operazione militare “Mare sicuro” per proteggerli, anche se i rischi sono tutti a terra, soprattutto in Libia, e lì non ci azzardiamo a metter piede.
Bisogna quindi farsi qualche domanda. Come abbiamo fatto, noi europei, a metterci in questo pasticcio? In pochi anni abbiamo bombardato la Libia (2011) senza uno straccio di piano per il futuro e poi ci siamo rovinati le relazioni con la Russia (2014): bel colpo, ma con le mediocrità che siedono ai vertici della Ue non c’è da stupirsi. E poi anche: davvero l’energia è il vero problema, in un mondo che rigurgita di petrolio al punto che il greggio oggi costa, al centesimo, quanto l’acqua minerale?
Il dramma vero della strage di Tunisi sta altrove. Nelle vite umane distrutte, ultimo anello di una sequela che pare sena fine e senza scopo. E nel fatto che siano state distrutte proprio in Tunisia, Paese che oggi è all’avanguardia in Medio Oriente. Dal 2011 a oggi i tunisini hanno saputo cacciare il dittatore Ben Alì, tenere due elezioni regolari e democratiche, far passare il Governo dagli islamici del partito Ennahda a una coalizione di partiti laici, approvare una costituzione d’impianto liberale. Ancor più importante, hanno respinto l’assalto dei gruppi fondamentalisti che, soprattutto nel 2013-2014, hanno provato a sovvertire la volontà popolare a colpi di omicidi politici e attentati.
La Tunisia ha 11 milioni di abitanti, e di questi quasi 4 milioni e mezzo hanno meno di 25 anni. E’ la condizione comune a quasi tutto il Medio Oriente (nella regione il 30% dei 400 milioni di abitanti ha meno di 30 anni), dove proprio la frustrazione e la rabbia dei giovani ha prodotto due fenomeni opposti: la Primavera araba da un lato, l’arruolamento nell’Isis e nelle bande dell’estremismo dall’altro. La fuga in avanti, verso nuove forme di democrazia, e quella all’indietro, nel passato dell’islam. Per questo l’esempio della Tunisia è importantissimo per il futuro del Medio Oriente. E per questo dobbiamo aiutarlo e difenderlo. E’ il nostro interesse, e vale assai più di un po’ di petrolio o di gas.