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L’embrione non è un oggetto di cui disporre secondo la propria volontà. Nemmeno per offrirlo ai ricercatori perché lo usino per i loro studi. Dice così la legge 40 sulla procreazione assistita e lo conferma la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, che ha stabilito che questa legge non viola con questo divieto la Convenzione europea sui diritti dell'uomo. La richiesta era stata presentata da Adelina Parillo, che nel 2002 aveva fatto ricorso alla metodica della fecondazione in vitro ottenendo cinque embrioni, che non erano stati impiantati ma congelati in attesa di poterli usare più avanti.
Purtroppo il dramma dell’attentato di Nassyriah, in Iraq ha portato via il padre biologico, il compagno della Parrillo morto quel terribile 12 novembre del 2003. Da lì la decisione della donna di donare i cinque embrioni alla ricerca scientifica e la decisione – dopo il divieto da parte della legge italiana – di appellarsi alla Corte europea perché valutasse se il divieto italiano lede i “diritti umani”.
La Corte europea (che fa capo al Consiglio d'Europa), ha invece ribadito il diritto del Parlamento italiano di prendere in considerazione “l'interesse dello Stato nel proteggere l'embrione e l'interesse degli individui coinvolti", sottolineando tra l’altro il fatto che la legge 40 "ha generato un dibattito significativo".
«La decisione della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul caso Parrillo è di straordinaria importanza perché nel suo nucleo fondamentale essa afferma che l’embrione non può essere oggetto di proprietà anche quando la sua vita è appena cominciata e si trova in una provetta. Dunque non è una cosa. Le cose possono essere oggetto di proprietà, non gli esseri umani» afferma Carlo Casini, presidente onorario del Movimento per la vita, della Federazione europea dei movimenti per la vita UnoDiNoi e rappresentante di Movimento per la vita, Forum delle associazioni familiari e Scienza&vita, tutte intervenute dinanzi alla Corte in opposizione al ricorso Perrillo.
«La decisione è di grande rilievo anche perché la Parrillo aveva fondato il suo ricorso sulla esplicita qualificazione dell’embrione come cosa e conseguentemente sul diritto fondamentale di proprietà che, secondo lei, le consentiva di disporre a suo piacimento degli embrioni. «Per questo esprimo la più grande soddisfazione per questa decisione di Strasburgo che potrebbe influenzare anche la sentenza attesa dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo, davanti alla quale pende un ricorso contro il rifiuto della Commissione Europea di prendere in considerazione l’iniziativa dei cittadini europei UnoDiNoi che aveva raccolto in tutta Europa oltre due milioni di adesioni per chiedere che la Ue cessi di finanziare attività che distruggono embrioni proprio perché ciascuno di essi deve essere riconosciuto come qualcosa di diverso dalle cose, cioè “uno di noi”. Una sentenza che potrebbe inaugurare un nuovo corso per le istituzioni comunitarie».
Purtroppo il dramma dell’attentato di Nassyriah, in Iraq ha portato via il padre biologico, il compagno della Parrillo morto quel terribile 12 novembre del 2003. Da lì la decisione della donna di donare i cinque embrioni alla ricerca scientifica e la decisione – dopo il divieto da parte della legge italiana – di appellarsi alla Corte europea perché valutasse se il divieto italiano lede i “diritti umani”.
La Corte europea (che fa capo al Consiglio d'Europa), ha invece ribadito il diritto del Parlamento italiano di prendere in considerazione “l'interesse dello Stato nel proteggere l'embrione e l'interesse degli individui coinvolti", sottolineando tra l’altro il fatto che la legge 40 "ha generato un dibattito significativo".
«La decisione della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sul caso Parrillo è di straordinaria importanza perché nel suo nucleo fondamentale essa afferma che l’embrione non può essere oggetto di proprietà anche quando la sua vita è appena cominciata e si trova in una provetta. Dunque non è una cosa. Le cose possono essere oggetto di proprietà, non gli esseri umani» afferma Carlo Casini, presidente onorario del Movimento per la vita, della Federazione europea dei movimenti per la vita UnoDiNoi e rappresentante di Movimento per la vita, Forum delle associazioni familiari e Scienza&vita, tutte intervenute dinanzi alla Corte in opposizione al ricorso Perrillo.
«La decisione è di grande rilievo anche perché la Parrillo aveva fondato il suo ricorso sulla esplicita qualificazione dell’embrione come cosa e conseguentemente sul diritto fondamentale di proprietà che, secondo lei, le consentiva di disporre a suo piacimento degli embrioni. «Per questo esprimo la più grande soddisfazione per questa decisione di Strasburgo che potrebbe influenzare anche la sentenza attesa dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo, davanti alla quale pende un ricorso contro il rifiuto della Commissione Europea di prendere in considerazione l’iniziativa dei cittadini europei UnoDiNoi che aveva raccolto in tutta Europa oltre due milioni di adesioni per chiedere che la Ue cessi di finanziare attività che distruggono embrioni proprio perché ciascuno di essi deve essere riconosciuto come qualcosa di diverso dalle cose, cioè “uno di noi”. Una sentenza che potrebbe inaugurare un nuovo corso per le istituzioni comunitarie».



