Dai primi versetti del Vangelo della prima domenica dopo il martirio del Battista, veniamo a sapere che Gesù battezzava in modo del tutto simile a quello di Giovanni il Battista. I discepoli del Battista leggono la cosa in termini competitivi, manifestandogli il disappunto nel vederlo perdere terreno rispetto al nuovo che avanza.
Giovanni risponde ai discepoli in tre battute. Nella prima dichiara che ciò che sta accadendo è solo volontà Dio, mentre con la seconda ricorda che aveva già riconosciuto la superiorità di Gesù. Nel terzo passaggio di stampo parabolico, infine, il Battista si identifica come amico dello sposo (Gesù), attribuendosi certo un ruolo di qualche importanza ma ovviamente e palesemente di secondo piano. Da buon «amico dello sposo», egli non intende competere per la sposa, ma gioisce nell’udire la voce di Gesù, ammirando il compiersi della sua unione. Solo nel suo essere precursore c’è il pieno successo e la definitiva gioia per il Battista.
Per Giovanni è dunque giunto il tempo del tramonto, mentre sorge Gesù come una nuova e definitiva aurora. Il parallelo tra i due prosegue con una riflessione sulle origini dei due personaggi: il Battista appartiene alla terra, il Cristo viene dall’alto, dal cielo. Chi ha come orizzonte la terra non sa dire nulla che non sia della terra, mentre chi viene dal cielo ha accesso alle cose divine.
La testimonianza di Gesù è però rifiutata perché chi proviene dalla terra non può da sé capire la parola che giunge da Dio. Tuttavia, c’è anche chi la accoglie poiché, grazie alla volontà e all’iniziativa di Dio stesso, l’impossibilità da parte dell’umano di accedere a ciò che è divino viene superata. In chi crede vediamo così confermato che Dio è veritiero, cioè non è ambiguo e doppio, ma fedele e degno di fiducia nella sua intenzione di donare all’umanità la vita piena.
La testimonianza di Gesù è poi legittimata dal Battista con tre argomenti. In lui riconosce «l’Inviato» dal cielo, colui che dice la verità su Dio. In seconda battuta, è il dono dello Spirito che in Cristo abita con abbondanza a renderlo attendibile. Infine l’amore del Padre per il Figlio si concretizza in una vera e propria delega d’autorità («Ha messo tutto nelle sue mani») per la quale Gesù rappresenta pienamente il Padre.
Così, la fede nel Figlio è la strada per accogliere il dono della vita in pienezza, mentre chi si chiude nell’incredulità si costringe da sé a restare in un orizzonte di vita limitato, segnato dalla morte (è opportuno leggere così l’«ira divina»).
Da notare come al “credere” venga opposto dall’evangelista il “disobbedire”. È chiaro che si riferisce a un’incredulità intesa non come semplice dubbio, ma come precisa volontà di rifiuto nei confronti di Gesù. Nel Padre, infatti, non c’è alcuna volontà di morte. Mai, per nessuno, in nessun caso. C’è solo un amoroso, indubitabile, definitivo desiderio di donare vita a tutti senza esclusione alcuna. E il Figlio è il racconto vivo di questo amore senza misura.