l Vangelo della Domenica di Cristo Re, tratto dal racconto di Luca, ci porta sul Calvario dove Gesù è già stato crocifisso tra due malfattori, come se fosse uno di loro. Dal patibolo, sulla folla che assiste muta allo spettacolo cruento, Gesù fa scendere una sorprendente parola di misericordia che chiede pietà a Dio per coloro che lo stanno uccidendo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno», ripete ostinatamente e insistentemente. Per tutta risposta, insieme al silenzio della folla, riceve gli scherni dei capi che lo deridono, insieme ai soldati: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto», gli gridano i primi, e «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso», dicono i secondi offrendogli aceto da bere. Per tre volte viene insultato e schernito riguardo la sua pretesa di essere il Cristo di Dio.
I capi riconoscono che ha salvato altri, confermando in modo paradossale che viene ucciso un giusto. Gli chiedono come segno dimostrativo di salvare se stesso, come se saper preservare da sé la propria vita fosse un tratto dell’agire messianico. I soldati lo provocano in- vece sulla regalità, della quale hanno un’idea precisa: un re deve vincere e sottomettere.
Gesù non risponde come a dire che quello è un linguaggio che non intende. Il suo non è un dominio, ma un servizio reso. Il suo potere non prende mai la forma di una prevaricazione. Quando Egli agisce, libera per lasciare liberi. La sua sovranità è farsi carico della vita dell’altro e non gravarlo della propria. La massima espressione della sua forza coincide con la rinuncia a curarsi di sé.
Nella solitudine in cui Gesù sta combattendo la sua battaglia si leva una voce che riconosce l’ingiustizia. È la voce di un malfattore. Da un uomo apparentemente lontano da Dio si sentono parole di rispetto, di pietà, di timor di Dio, di giustizia e poi di fede. Le sue parole sono indiscutibilmente di pentimento e di conversione. Riconosce il male compiuto, afferma di meritare castigo, vede l’innocenza di Gesù. Verrebbe da obiettare sulla visione meramente retributiva che sembra avere rispetto alla giustizia, ma la preghiera che segue afferma una fede nella misericordia che rompe ogni visione di Dio quale contabile.
Il malfattore «ripeteva in continuazione», dice il testo, la sua richiesta di salvezza. È una domanda sfacciata e impertinente. È uno dei rari personaggi che chiamano Gesù per nome, come i lebbrosi, gli indemoniati, il cieco. Sono i maledetti da Dio a osare l’intimità. Coloro che credono di vedere sono ciechi e ai ciechi sono aperti gli occhi. I peccatori passano avanti nel regno di Dio, perché vedono il Padre e la sua misericordia. Anche il malfattore parla di regalità, certo ricono- scendo a Gesù la dignità messianica, pur essendo con- sapevole che il potere di Gesù non lo risparmierà dalla morte. Spera e chiede un futuro di salvezza, sapendo che «oggi» è il tempo della morte. La risposta di Gesù invece ribalta l’idea: quell’«oggi» è l’«oggi» di Dio ed è già il momento della salvezza.