Il lezionario in questa domenica ci presenta la pagina del Quarto vangelo riguardante la guarigione del paralitico di Gerusalemme, alla piscina chiamata Betzatà. A guardare meglio, siamo in quella parte del capitolo quinto di Giovanni che contiene il resoconto di un’accesa diatriba tra Gesù e alcuni suoi antagonisti, coloro cioè che gli avevano rimproverato di compiere guarigioni in giorno di sabato (Giovanni 5,9.16).
La difesa di Gesù prende l’avvio dal fatto che Dio, suo Padre, agisce anche di sabato. Vi erano, in effetti, diverse discussioni a riguardo di come si dovesse osservare il sabato, e Gesù in questo modo afferma che Dio di sabato tiene in piedi il mondo e lo custodisce, nonostante – come si legge nel libro della Genesi – egli stesso in quel giorno avesse cessato ogni lavoro per riposarsi.
Più precisamente però siamo nella parte del discorso di Gesù in cui si parla della testimonianza che gli viene dalle Scritture. Domenica scorsa si è vista la speciale testimonianza del Battista, l’amico dello sposo e testimone alle nozze del Messia, che ore la sua vita per lui. Questa domenica, invece, leggiamo che la testimonianza a Gesù viene da Mosè e dalle Scritture di Israele.
Sappiamo già che il vangelo di Giovanni è costruito come un processo istruito contro Gesù, nel quale il Battista è solo il primo dei testimoni a suo favore: altre testimonianze gli vengono dalle opere che il Signore ha compiuto (i “segni”), dal Padre, dallo Spirito (l’«avvocato»), e – come in questa pagina – dalle Scritture stesse. Si tratta di qualcosa di importante, perché è a partire da brani come questo, o da quello di Gesù che spiega le Scritture ai due discepoli di Emmaus, che impariamo a leggere la Bibbia in chiave cristologica, cioè a partire dalla luce che viene dal Messia Gesù.
Ora, perché questa lettura sia efficace, afferma Gesù, e lo «scrutare le Scritture» porti frutto, sono necessarie alcune condizioni, tra le quali la fede. Proprio di una mancanza di fede tratta il testo di Isaia, in una specie di salmo di lamentazione, con il quale il popolo di Israele, nell’esilio, ricorda i benefici che Dio ha compiuto in passato, ma anche la propria infedeltà: «Essi si ribellarono e contristarono il santo spirito di Dio» (Isaia 63,10). Anche Gesù rimprovera a chi non crede in lui di non aver mai veramente ascoltato la voce di Dio, nemmeno quando ha parlato per mezzo del suo profeta, Mosè.
Da dove può venire tale atteggiamento incredulo che, sarà necessario ricordarlo, tutti, ebrei e cristiani, possono assumere? Gesù ammonisce chi ricerca la gloria umana: «Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?» (Giovanni 5,44). Se il conquistare la stima del proprio prossimo è un mezzo per raggiungere la fiducia in se stessi – commentava un esegeta, R. Brown –, allora ne consegue che non c’è più bisogno di credere in Dio e nella sua parola. Solo quando la fiducia in se stessi viene scossa, si è pronti a un vero atto di fede che apre il cuore a Dio e ai suoi inviati.