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giovedì 15 maggio 2025
 

Egitto, le condanne di massa

I ritratti del generale Al-Sisi nelle strade del Cairo (Reuters).
I ritratti del generale Al-Sisi nelle strade del Cairo (Reuters).

La sentenza con cui il Tribunale di Minya, grosso centro dell'Alto Egitto, ha condannato a morte 529 militanti dei Fratelli Musulmani: erano collettivamente accusati di aver provocato gli incidenti che, durante lo sgombero di due "accampamenti" eretti al Cairo per protestare contro il generale Al-Sisi e per la liberazione dell'ex presidente Morsi, provocarono diversi morti.

Questa sentenza è tante cose. Un mostro giuridico, innanzitutto, perché la condanna è arrivata dopo solo due udienze, facendo strame del diritto alla difesa degli imputati. Ed è un precedente, perché a Minya sono in attesa di giudizio altre 700 persone.  E' anche una pesantissima ipoteca sul futuro dell'Egitto: questa mannaia di massa rischia di scatenare un'ondata di terrorismo da parte dei gruppi messi fuorilegge (i Fratelli Musulmani stessi, il loro ramo politico, il partito Giustizia e Libertà, per non parlare degli estremisti di Jamaa Islamiya) e certo di acuire i già enormi rancori che dividono il Paese. Infine, infila una zeppa pericolosa tra le varie anime dell'Islam visto che la condanna, per andare in giudicato, dovrà essere approvata dal Gran Muftì del Cairo.

Ma accanto a tutte queste cose, la condanna emessa dal Tribunale di Minya sembra essere anche un messaggio. Interno, ovviamente: il regime di Al-Sisi non vuole ricomporre le fratture create dalle smanie autoritarie dei Fratelli Musulmani e di Morsi ma schiacciarle con un autoritarismo più forte e spietato.

E un messaggio esterno: questo stesso, come garanzia dell'alleanza che l'Egitto dei militari ha stipulato con le monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti), quelle moderate del Maghreb (Giordania e Marocco) e, in ultima analisi, Israele, come sempre molto abile nel giocare sulle rivalità interne al mondo islamico.

Al di là delle diverse esperienze e necessità, tutti questi Paesi hanno un desiderio di fondo in comune: conservare lo status quo, o per dirla con toni più positivi, la stabilità del Medio Oriente. Le monarchie del Golfo perché hanno l'Iran alle porte e perché la manna del petrolio deve continuare a cadere nelle tasche di chi comanda; Giordania e Marocco perché hanno avviato riforme non secondarie e hanno bisogno di tempo e calma per testarle (e la Giordania ha la Siria alle porte e gli americani in casa);  Israele perché pian piano si allarga nelle terre che spetterebbero ai palestinesi, e in quel "pian piano" sta la chiave di tutto.

 

Questi e altri temi di esteri anche su fulvioscaglione.com

25 marzo 2014

 
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