Il Dio della vita che piange con noi
Gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Marco 5,21-43
La Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, è anche il racconto di guarigioni, di fame sfamata con pane e manna, di sete dissetata con acqua e vino, di guarigioni qualche volta di resurrezioni. Racconti meravigliosi che ci vengono narrati certamente per donarci dei segni, per indicarci l’irruzione del divino nel mondo, per ricordarci dell’esistenza di un piano invisibile ma reale che agisce e opera nella vita. A ricordarci che esiste uno Spirito ed è all’opera, che c’è un secondo piano del mondo che è in collegamento con il primo, il nostro piano, che ogni tanto in modo imprevedibile si connette con quel mondo invisibile e ci fa capire che siamo guardati, seguiti e amati.
Ma queste guarigioni e resurrezioni, incluse quelle narrate dal capitolo V del Vangelo di Marco, sono anche qualcos’altro. Ci dicono la centralità che il corpo ha nell’umanesimo biblico e nel cristianesimo, e quindi l’importanza enorme della sofferenza e della morte. La salvezza è anche salvezza del corpo e dal dolore, è premura e accudimento delle nostre sofferenze, è guarigione dalle nostre emorragie. E se la salvezza fosse solo una faccenda di anime non sarebbe stata necessaria né la creazione dell’Adam né tanto meno l’incarnazione del Verbo, che tra i tanti messaggi che ci ha portato, su tutti spicca la grande dignità e il grande valore teologico del corpo umano.
La terra promessa è un luogo, mai perfettamente raggiunto, dove i dolori del corpo sono leniti, dove la sofferenza non è per sempre e non ha l’ultima parola. E anche se una certa teologia in certe fasi della storia della Chiesa ha idealizzato la sofferenza, facendola diventare una moneta gradita a Dio e ai santi, in realtà la Bibbia e i Vangeli ci parlano solo di un Dio che vuole ridurre la sofferenza degli uomini, che vuole allontanare la morte fino a sconfiggerla («l’ultimo nemico ad essere sconfitto sarà la morte»). Il libro di Giobbe, il canto del Servo sofferente di Isaia, l’insegnamento del profeti e dei Salmi, ci ripetono a più voci che il Dio della Bibbia non vuole il sangue dei figli.
UNA BUONA NOTIZIA.
Non tutte le nostre emorragie guariscono, non tutte le nostre bambine morte vengono riportate in vita. La storia umana anche dopo la Resurrezione di Cristo continua a conoscere troppe lacrime versate sulle tombe dei bambini, a vedere troppe malattie che non guariscono mai, nonostante tocchiamo la tunica del Signore. Ma la presenza nella Bibbia (Eliseo, Elia) e nei Vangeli di malati guariti e di bambine risorte, anche se non è sufficiente a consolarci per le nostre non resurrezioni, ci annuncia comunque una buona notizia: che il nostro Dio è il Dio della vita, che non vuole le nostre malattie, che non vuole le morti dei nostri figli e, anche se non li fa risorgere, siamo sicuri che piange con noi. Come pianse per la morte di Lazzaro, come continua a piangere per il troppo dolore innocente che continua tutti i giorni ad attraversare la terra degli uomini. La fede non elimina il dolore dalla terra, ci offre solo l’orizzonte di senso più grande dove nessuna lacrima di nessun uomo e di nessuna donna va sprecata.