Riprendono le udienze giubilari che papa Francesco aveva cominciato a gennaio. Leone XIV, all’interno della Basilica vaticana, per il forte caldo che non consente di stare all’aperto, ricorda come il Vangelo, in Europa, sia stato portato da fuori. Ricordando uno dei più grandi teologi cristiani, il vescovo Ireneo di Lione, che era nato in Asia minore e si era formato tra coloro che avevano conosciuto direttamente gli apostoli sottolinea «come ci fa bene ricordarlo qui, a Roma, in Europa! Il Vangelo è stato portato in questo continente da fuori. E anche oggi le comunità di migranti sono presenze che ravvivano la fede nei Paesi che le accolgono. Il Vangelo viene da fuori. Ireneo collega Oriente e Occidente».

Il Pontefice chiede di continuare «il cammino avviato, come pellegrini di speranza!» radunati dalla «speranza trasmessa dagli Apostoli fin dal principio. Gli Apostoli hanno visto in Gesù la terra legarsi al cielo: con gli occhi, gli orecchi, le mani hanno accolto il Verbo della vita. Il Giubileo è una porta aperta su questo mistero. L’anno giubilare collega più radicalmente il mondo di Dio al nostro. Ci invita a prendere sul serio ciò che preghiamo ogni giorno: “Come in cielo, così in terra”. Questa è la nostra speranza».

E approfondendo l’aspetto dello «sperare che è collegare» insiste su un Gesù che non separa.  Ireneo non solo ricorda «come i popoli si continuano ad arricchire a vicenda», ma, proprio per le divisioni che incontra in seno alla comunità cristiana «i conflitti interni e le persecuzioni esterne» ci insegna a non scoraggiarci e a cercare di costruire unità.

«In un mondo a pezzi imparò a pensare meglio, portando sempre più profondamente l’attenzione a Gesù. Diventò un cantore della sua persona, anzi della sua carne. Riconobbe, infatti, che in Lui ciò che a noi sembra opposto si ricompone in unità. Gesù non è un muro che separa, ma una porta che ci unisce. Occorre rimanere in lui e distinguere la realtà dalle ideologie».

Anche oggi, dice papa Leone, «le idee possono impazzire e le parole possono uccidere. La carne, invece, è ciò di cui tutti siamo fatti; è ciò che ci lega alla terra e alle altre creature. La carne di Gesù va accolta e contemplata in ogni fratello e sorella, in ogni creatura. Ascoltiamo il grido della carne, sentiamoci chiamare per nome dal dolore altrui. Il comandamento che abbiamo ricevuto fin da principio è quello di un amore vicendevole. Esso è scritto nella nostra carne, prima che in qualsiasi legge».

E allora «Ireneo, maestro di unità, ci insegna a non contrapporre, ma a collegare. C’è intelligenza non dove si separa, ma dove si collega. Distinguere è utile, ma dividere mai. Gesù è la vita eterna in mezzo a noi: lui raduna gli opposti e rende possibile la comunione. Siamo pellegrini di speranza, perché fra le persone, i popoli e le creature occorre qualcuno che decida di muoversi verso la comunione. Altri ci seguiranno. Come Ireneo a Lione nel secondo secolo, così in ognuna delle nostre città torniamo a costruire ponti dove oggi ci sono muri. Apriamo porte, colleghiamo mondi e ci sarà speranza».