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Ha voluto incontrarli anche se all'inizio non era in programma. Papa Leone, al termine della messa per il Giubileo dei missionari digitali dice, agli influencer cattolici: «Cercate la carne sofferente di Cristo». E consegna loro una bussola nuova, e insieme antica, per una Chiesa che ha deciso di non lasciarsi spiazzare dal digitale, ma di abitarlo. Il discorso del Pontefice pronunciato dopo la messa a San Pietro, davanti a centinaia di missionari digitali e influencer cattolici, ha evitato la via facile dell’entusiasmo mediatico per andare diritto al cuore della questione: se la rete è un ambiente da evangelizzare, allora non può essere solo un canale da usare; deve diventare un luogo da redimere. C'è una forza disarmante nel secondo passaggio del suo discorso, dove invita a «nutrire una cultura di umanesimo cristiano» nel mondo digitale. Il Papa non si limita a chiedere buoni contenuti: chiede incontri veri, non invoca una strategia, ma uno stile: esorta a cercare le persone, non le performance. E lo fa con un linguaggio che sa essere pastorale e radicale al tempo stesso: non si tratta di “generare contenuti”, ma di “incontrare cuori”: questa è la sfida che ribalta ogni logica algoritmica, è il contrario del culto dell’engagement, è l’ingaggio dell’umanità ferita.
Papa Leone sa che nei feed si consuma molta solitudine e che, dietro ogni nickname, può nascondersi un’agonia silenziosa. Per questo richiama i missionari digitali a scendere nella profondità di quelle ferite, a riconoscere le crepe nel vetro dello schermo come luoghi teologici, a riscoprire nella rete un prolungamento della via di Emmaus, dove il Cristo risorto continua a camminare accanto a chi non lo riconosce. E chiede loro coerenza, autenticità, coraggio: perché solo un cuore toccato può toccare altri cuori, e solo chi si lascia guarire può guarire.
Il terzo spunto del discorso non è meno denso, anzi, nel suo appello a “riparare le reti”, Papa Leone offre l’immagine più evocativa del suo intervento. È una metafora che scardina il senso comune: il web infatti, non è un trofeo della scienza e della tecnologia da esibire, ma una trama fragile da curare. È proprio qui che si gioca la vera sfida ecclesiale della presenza online: non nella viralità di un post, ma nella fedeltà a un incontro. «Reti dove si possa guarire dalla solitudine, non contando i follower ma sperimentando la grandezza infinita dell’Amore»: è il monito di Prevost contro ogni forma di narcisismo spirituale che potrebbe mimetizzarsi dietro i pixel della missione. La rete, per il Papa, è chiamata a diventare rete di Dio, un intreccio di relazioni che non si autocelebra, ma ospita l’altro, dove non si gareggia per emergere, ma si scommette sulla profondità, dove non si costruiscono bolle, ma si moltiplicano ponti. E l’unico modo per non rendere sterile il messaggio è questo: farsi agenti di comunione, non di consenso.
Quello che è avvenuto in questi giorni con il primo Giubileo degli influencer cattolici e dei missionari digitali non è un raduno per addetti ai lavori, ma un atto ecclesiale di portata profetica. La consacrazione della missione digitale a Maria, prevista oggi pomeriggio nei Giardini Vaticani, sarà una dichiarazione d’intenti. Questa nuova forma di annuncio è una vocazione condivisa, e come ogni vera vocazione, chiede di camminare insieme, di lasciarsi accompagnare, di farsi Chiesa. Il digitale non è più un’estensione, diventa così una realtà da abitare…e se è vero che ogni clic può essere un incontro, ogni scroll un passaggio verso l’altro, allora la sfida non è aggiornare i linguaggi, ma trasfigurare le relazioni. Papa Leone ha dato il mandato: non solo costruire contenuti, ma ricucire legami, non rincorrere numeri, ma custodire nomi. Perché in fondo – ce lo ha ricordato con forza – ogni follower è una storia che merita di essere ascoltata, curata, guarita.
Papa Leone sa che nei feed si consuma molta solitudine e che, dietro ogni nickname, può nascondersi un’agonia silenziosa. Per questo richiama i missionari digitali a scendere nella profondità di quelle ferite, a riconoscere le crepe nel vetro dello schermo come luoghi teologici, a riscoprire nella rete un prolungamento della via di Emmaus, dove il Cristo risorto continua a camminare accanto a chi non lo riconosce. E chiede loro coerenza, autenticità, coraggio: perché solo un cuore toccato può toccare altri cuori, e solo chi si lascia guarire può guarire.
Il terzo spunto del discorso non è meno denso, anzi, nel suo appello a “riparare le reti”, Papa Leone offre l’immagine più evocativa del suo intervento. È una metafora che scardina il senso comune: il web infatti, non è un trofeo della scienza e della tecnologia da esibire, ma una trama fragile da curare. È proprio qui che si gioca la vera sfida ecclesiale della presenza online: non nella viralità di un post, ma nella fedeltà a un incontro. «Reti dove si possa guarire dalla solitudine, non contando i follower ma sperimentando la grandezza infinita dell’Amore»: è il monito di Prevost contro ogni forma di narcisismo spirituale che potrebbe mimetizzarsi dietro i pixel della missione. La rete, per il Papa, è chiamata a diventare rete di Dio, un intreccio di relazioni che non si autocelebra, ma ospita l’altro, dove non si gareggia per emergere, ma si scommette sulla profondità, dove non si costruiscono bolle, ma si moltiplicano ponti. E l’unico modo per non rendere sterile il messaggio è questo: farsi agenti di comunione, non di consenso.
Quello che è avvenuto in questi giorni con il primo Giubileo degli influencer cattolici e dei missionari digitali non è un raduno per addetti ai lavori, ma un atto ecclesiale di portata profetica. La consacrazione della missione digitale a Maria, prevista oggi pomeriggio nei Giardini Vaticani, sarà una dichiarazione d’intenti. Questa nuova forma di annuncio è una vocazione condivisa, e come ogni vera vocazione, chiede di camminare insieme, di lasciarsi accompagnare, di farsi Chiesa. Il digitale non è più un’estensione, diventa così una realtà da abitare…e se è vero che ogni clic può essere un incontro, ogni scroll un passaggio verso l’altro, allora la sfida non è aggiornare i linguaggi, ma trasfigurare le relazioni. Papa Leone ha dato il mandato: non solo costruire contenuti, ma ricucire legami, non rincorrere numeri, ma custodire nomi. Perché in fondo – ce lo ha ricordato con forza – ogni follower è una storia che merita di essere ascoltata, curata, guarita.



