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«Disarmate le parole, alzate lo sguardo, custodite il cuore». A sessant’anni dalla Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis papa Leone chiede alle comunità educanti di “Disegnare nuove mappe di speranza”, come recita il titolo della sua Lettera apostolica. Partendo dalle parole, dall’ascolto, dallo sguardo sull’altro. Per non fermarsi a formare buoni cittadini o persone competenti, ma per far crescere l’interiorità di ciascuno e l’amore per il prossimo a imitazione di Cristo. L’educazione «non è accessoria», scrive il Pontefice sottolineando l’attualità del documento conciliare, ma «forma la trama stessa dell’evangelizzazione: è il modo concreto con cui il Vangelo diventa gesto educativo, relazione, cultura. Oggi, davanti a mutamenti rapidi e ad incertezze che disorientano, quell’eredità mostra una tenuta sorprendente». Non solo, dove le comunità educanti si lasciano «guidare dalla parola di Cristo, non si ritirano, ma si rilanciano; non alzano muri, ma costruiscono ponti. Reagiscono con creatività, aprendo possibilità nuove alla trasmissione della conoscenza e del senso nella scuola, nell’università, nella formazione professionale e civile, nella pastorale scolastica e giovanile, e nella ricerca, poiché il Vangelo non invecchia ma fa “nuove tutte le cose”»
Parla di «costellazioni educative», Prevost, generate, fin dalle origini, dal Vangelo: esperienze umili e forti insieme, capaci di leggere i tempi, di custodire l’unità tra fede e ragione, tra pensiero e vita, tra conoscenza e giustizia. Esse sono state, in tempesta, àncora di salvezza; e in bonaccia, vela spiegata. Faro nella notte per guidare la navigazione».
Papa Leone riprende i sette passi del Patto educativo globale lanciato da Francesco cinque anni fa: «Porre al centro la persona; ascoltare bambini e giovani; promuovere la dignità e la piena partecipazione delle donne; riconoscere la famiglia come prima educatrice; aprirsi all’accoglienza e all’inclusione; rinnovare l’economia e la politica al servizio dell’uomo; custodire la casa comune». Una «eredità profetica», la chiama Prevost, alla quale aggiunge «tre priorità. La prima riguarda la vita interiore: i giovani chiedono profondità; servono spazi di silenzio, discernimento, dialogo con la coscienza e con Dio. La seconda riguarda il digitale umano: formiamo all’uso sapiente delle tecnologie e dell’IA, mettendo la persona prima dell’algoritmo e armonizzando intelligenze tecnica, emotiva, sociale, spirituale ed ecologica. La terza riguarda la pace disarmata e disarmante: educhiamo a linguaggi non violenti, riconciliazione, ponti e non muri; “Beati gli operatori di pace” diventi metodo e contenuto dell’apprendere».
Una Lettera densa, quella di papa Leone, che riparte dal dovere di educare i poveri, di rimettere la persona al centro e non l’algoritmo, di impegnarsi per una educazione integrale che non sia solo funzionale e tecnica.
In undici paragrafi ricorda le sfide che si sono ampliate in questi sessant’anni: milioni di bambini che non hanno mai frequentato un’aula scolastica, emergenze dettate dalle guerre, dalle migrazioni, dalle diseguaglianze, dalle povertà. Occorre agire perché, come papa Leone ha recentemente scritto nell’Esortazione Dilexit te, «l’educazione è una delle espressioni più alte della carità cristiana». È una forma di speranza della quale il mondo ha bisogno.
E allora, con i carismi educativi che «non sono formule rigide: sono risposte originali ai bisogni di ogni epoca» la Chiesa continua a sostenere la dignità di ciascuno. In ogni tempo.
Ricorda i Padri del deserto «che hanno insegnato la sapienza con parabole» e «trasmesso una pedagogia dello sguardo che riconosce Dio ovunque», Sant’Agostino, che «innestando la sapienza biblica nella tradizione greco-romana, ha capito che il maestro autentico suscita il desiderio della verità, educa la libertà a leggere i segni e ad ascoltare la voce interiore». E ancora, la ricchezza del monachesimo senza il cui lavoro tanti capolavori della cultura classica non sarebbero arrivati fino a noi. E ancora sottolinea che «dal cuore della Chiesa sono nate le prime università, le quali si sono rivelate fin dalle loro origini “un centro incomparabile di creatività e di irradiazione del sapere per il bene dell’umanità”». Gli ordini mendicanti, la tradizione scolastica che si fonde con la spiritualità ignaziana aprendosi alla sperimentazione. E poi San Giuseppe Calasanzio che, nella Roma del Seicento «aprì scuole gratuite per i poveri, intuendo che l’alfabetizzazione e il calcolo sono dignità prima ancora che competenza». Lo stesso in Francia dove San Giovanni Battista de La Salle, «rendendosi conto dell’ingiustizia causata dall’esclusione dei figli degli operai e dei contadini dal sistema educativo» fondò i Fratelli delle Scuole Cristiane. Ancora in Francia San Marcellino Champagnat si dedicò «con tutto il cuore, in un’epoca in cui l’accesso all’istruzione continuava ad essere privilegio di pochi, alla missione di educare ed evangelizzare i bambini e i giovani». Ricorda San Giovanni Bosco, che «col suo “metodo preventivo”, trasformò la disciplina in ragionevolezza e prossimità». E ancora: «donne coraggiose, come Vicenza Maria López y Vicuña, Francesca Cabrini, Giuseppina Bakhita, Maria Montessori, Katharine Drexel o Elizabeth Ann Seton», che «hanno aperto varchi per le ragazze, i migranti, gli ultimi». Leone ribadisce poi «quanto ho affermato con chiarezza nella Dilexi te: “L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere”».
Il Pontefice torna a ricordare che «l’educazione cristiana è opera corale: nessuno educa da solo. La comunità educante è un “noi” dove il docente, lo studente, la famiglia, il personale amministrativo e di servizio, i pastori e la società civile convergono per generare vita. Questo “noi” impedisce che l’acqua ristagni nella palude del “si è sempre fatto così” e la costringe a scorrere, a nutrire, a irrigare».
Parla del rapporto tra fede e ragione e cita «San John Henry Newman – che nel contesto di questo Giubileo del Mondo Educativo ho la grande gioia di dichiarare co-patrono della missione educativa della Chiesa insieme a San Tommaso d’Aquino –» per ricordare che «non si devono separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza: significherebbe spezzare la persona. L’università e la scuola cattolica sono luoghi dove le domande non vengono tacitate, e il dubbio non è bandito ma accompagnato. Il cuore, lì, dialoga col cuore, e il metodo è quello dell’ascolto che riconosce l’altro come bene, non come minaccia. Cor ad cor loquitur è stato il motto Cardinalizio di San John Henry Newman colto da una lettera di San Francesco di Sales: “La sincerità del cuor e non l’abbondanza delle parole, tocca il cuore degli uomini».
Il compito degli educatori è «di “far fiorire l’essere ... è prendersi cura dell’anima» come si legge nell’Apologia di Socrate di Platone. È un “mestiere di promesse”: si promette tempo, fiducia, competenza; si promette giustizia e misericordia, si promette il coraggio della verità e il balsamo della consolazione. Educare è un compito d’amore che si tramanda di generazione in generazione, ricucendo il tessuto lacerato delle relazioni e restituendo alle parole il peso della promessa: “Ogni uomo è capace della verità, tuttavia, è molto sopportabile il cammino quando si va avanti con l’aiuto dell’altro”. La verità si ricerca in comunità».
Anche se c’è una comunità educante, un noi, è la famiglia «la prima scuola di umanità. La comunità ecclesiale è chiamata a sostenere ambienti che integrino fede e cultura, rispettino la dignità di tutti, dialoghino con la società. Il documento mette in guardia da ogni riduzione dell’educazione a addestramento funzionale o strumento economico: una persona non è un “profilo di competenze”, non si riduce a un algoritmo previsibile, ma un volto, una storia, una vocazione».
E ancora, insiste papa Leone, «L’educazione non misura il suo valore solo sull’asse dell’efficienza: lo misura sulla dignità, sulla giustizia, sulla capacità di servire il bene comune. Questa visione antropologica integrale deve rimanere l’asse portante della pedagogia cattolica. Essa – sulla scia del pensiero di San John Henry Newman – va contro un approccio prettamente mercantilistico che spesso oggi costringe l’educazione a essere misurata in termini di funzionalità e utilità pratica».
L’obiettivo, invece, è «imparare ad affrontare i problemi, che sono sempre diversi, perché ogni generazione è nuova, con nuove sfide, nuovi sogni, nuove domande», ed è «ricostruire fiducia in un mondo segnato da conflitti e paure, ricordando che siamo figli e non orfani: da questa coscienza nasce la fraternità».
Al centro c’è la persona che significa «educare allo sguardo lungo di Abramo: far scoprire il senso della vita, la dignità inalienabile, la responsabilità verso gli altri. L’educazione non è solo trasmissione di contenuti, ma apprendistato di virtù. Si formano cittadini capaci di servire e credenti capaci di testimoniare, uomini e donne più liberi, non più soli. E la formazione non si improvvisa. Volentieri ricordo gli anni passati nella amata Diocesi di Chiclayo, visitando l’Università cattolica San Toribio de Mogrovejo, le opportunità che ho avuto di rivolgermi alla comunità accademica, dicendo: “Non si nasce professionisti; ogni percorso universitario si costruisce passo a passo, libro a libro, anno per anno, sacrificio dopo sacrificio».
Loda la scuola cattolica ,«un ambiente in cui fede, cultura e vita si intrecciano» e in cui «gli educatori sono chiamati a una responsabilità che va oltre il contratto di lavoro: la loro testimonianza vale quanto la loro lezione. Per questo, la formazione degli insegnanti — scientifica, pedagogica, culturale e spirituale — è decisiva».
Inoltre «le scuole cattoliche collaborano con i genitori, non li sostituiscono perché il “dovere dell’educazione, soprattutto religiosa, spetta loro prima che a chiunque altro”».
Tuttavia, come già diceva il documento conciliare va data «importanza al principio di sussidiarietà e al fatto che le circostanze variano a seconda dei diversi contesti ecclesiali locali. Il Concilio Vaticano II ha articolato il diritto all’istruzione e i suoi principi fondanti come universalmente validi. Ha evidenziato le responsabilità poste sia sui genitori stessi sia sullo Stato. Ha considerato un “diritto sacro” l’offerta di una formazione che consenta agli studenti di “valutare i valori morali con retta coscienza” e ha chiesto alle autorità civili di rispettare tale diritto. Ha inoltre messo in guardia contro la subordinazione dell’istruzione al mercato del lavoro e alle logiche spesso ferree e disumane della finanza».
Inoltre non va dimenticata la nostra comune umanità perché questo smarrimento «ha generato fratture e violenze; e quando la terra soffre, i poveri soffrono di più. L’educazione cattolica non può tacere: deve unire giustizia sociale e giustizia ambientale, promuovere sobrietà e stili di vita sostenibili, formare coscienze capaci di scegliere non solo il conveniente ma il giusto. Ogni piccolo gesto — evitare sprechi, scegliere con responsabilità, difendere il bene comune — è alfabetizzazione culturale e morale».
E allora «occorre un’educazione che coinvolga la mente, il cuore e le mani; abitudini nuove, stili comunitari, pratiche virtuose. La pace non è assenza di conflitti: è forza mite che rifiuta la violenza. Un’educazione alla pace “disarmata e disarmante” insegna a deporre le armi della parola aggressiva e dello sguardo che giudica, per imparare il linguaggio della misericordia e della giustizia riconciliata.
Riprendendo l’immagine della costellazione Leone ritorna al concetto del «mondo educativo cattolico» come «rete viva e plurale: scuole parrocchiali e collegi, università e istituti superiori, centri di formazione professionale, movimenti, piattaforme digitali, iniziative di service-learning e pastorali scolastiche, universitarie e culturali. Ogni “stella” ha una luminosità propria, ma tutte insieme disegnano una rotta. Dove in passato c’è stata rivalità, oggi chiediamo alle istituzioni di convergere: l’unità è la nostra forza più profetica. Le differenze metodologiche e strutturali non sono zavorre, ma risorse. La pluralità dei carismi, se ben coordinata, compone un quadro coerente e fecondo. In un mondo interconnesso, il gioco si fa su due tavoli: locale e globale. Occorrono scambi di docenti e studenti, progetti comuni tra continenti, riconoscimento mutuo di buone pratiche, cooperazione missionaria e accademica. Il futuro ci impone di imparare a collaborare di più, a crescere insieme».
Il Papa si concentra poi sull’ambiente digitale. «Sessant’anni fa, la Gravissimum educationis ha aperto una stagione di fiducia: ha incoraggiato ad aggiornare metodi e linguaggi. Oggi questa fiducia si misura con l’ambiente digitale», scrive nella Lettera.
«Le tecnologie devono servire la persona, non sostituirla; devono arricchire il processo di apprendimento, non impoverire relazioni e comunità. Un’università e una scuola cattolica senza visione rischiano l’efficientismo senza anima, la standardizzazione del sapere, che diventa poi impoverimento spirituale», ribadisce. E, dunque, occorre«rafforzare la formazione dei docenti anche sul piano digitale; valorizzare la didattica attiva; promuovere service-learning e cittadinanza responsabile; evitare ogni tecnofobia. Il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia non può mai essere ostile, perché “il progresso tecnologico fa parte del piano di Dio per la creazione”. Ma chiede discernimento sulla progettazione didattica, sulla valutazione, sulle piattaforme, sulla protezione dei dati, sull’accesso equo. In ogni caso, nessun algoritmo potrà sostituire ciò che rende umana l’educazione: poesia, ironia, amore, arte, immaginazione, la gioia della scoperta e perfino, l’educazione all’errore come occasione di crescita».
Il punto decisivo «non è la tecnologia, ma l’uso che ne facciamo. L’intelligenza artificiale e gli ambienti digitali vanno orientati alla tutela della dignità, della giustizia e del lavoro; vanno governati con criteri di etica pubblica e partecipazione; vanno accompagnati da una riflessione teologica e filosofica all’altezza. Le università cattoliche hanno un compito decisivo: offrire “diaconia della cultura”, meno cattedre e più tavole dove sedersi insieme, senza gerarchie inutili, per toccare le ferite della storia e cercare, nello Spirito, sapienze che nascano dalla vita dei popoli».
La rete educativa cattolica ha una capillarità che raggiunge anche le popolazioni più povere e che può dare «qualità nella progettazione pedagogica, nella formazione dei docenti, nella governance; coraggio nel garantire accesso ai più poveri, nel sostenere famiglie fragili, nel promuovere borse di studio e politiche inclusive. La gratuità evangelica non è retorica: è stile di relazione, metodo e obiettivo. Là dove l’accesso all’istruzione resta privilegio, la Chiesa deve spingere le porte e inventare strade, perché “perdere i poveri” equivale a perdere la scuola stessa». Questo vale pure per l’università: lo sguardo inclusivo e la cura del cuore salvano dalla standardizzazione; lo spirito di servizio rianima l’immaginazione e riaccende l’amore.
Infine il Papa spiega che «le costellazioni educative cattoliche sono un’immagine ispiratrice di come tradizione e futuro possano intrecciarsi senza contraddizioni: una tradizione viva che si estende verso nuove forme di presenza e di servizio. Le costellazioni non si riducono a neutri e appiattiti concatenamenti delle diverse esperienze. Invece di catene, osiamo pensare alle costellazioni, al loro intreccio pieno di meraviglia e risvegli. In esse risiede quella capacità di navigare tra le sfide con speranza ma anche con una coraggiosa revisione, senza perdere la fedeltà al Vangelo. Siamo consapevoli delle fatiche: l’iper-digitalizzazione può frantumare l’attenzione; la crisi delle relazioni può ferire la psiche; l’insicurezza sociale e le disuguaglianze possono spegnere il desiderio. Eppure, proprio qui, l’educazione cattolica può essere faro: non rifugio nostalgico, ma laboratorio di discernimento, innovazione pedagogica e testimonianza profetica. Disegnare nuove mappe di speranza: è questa l’urgenza del mandato».



