L’essenza dei Giochi è lì in una storia che si snoda lungo 3mila anni, da Olimpia 776 a.C. (più o meno perché gli storici diffidano della data netta) a oggi: nell’incrocio di suggestioni antiche e moderne, nella competizione insita nell’umano, nei significati sacri e profani che le sono stati attribuiti lungo i millenni. La rende plasticamente la mostra I giochi olimpici, una storia lunga tremila anni, fino al 22 marzo alla Fondazione Luigi Rovati di Milano.

Un progetto a cura di Anne Cécile Jaccard, Patricia Reymond, Giulio Paolucci e Lione Pernet, realizzato in collaborazione con l’Olympic Museum e il Musée Cantonal d’Achéologie e d’Histoire, entrambi di Losanna, e con l’importante contributo della collezione del Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia e dei Musei Vaticani.

Splendida nel suo essere ibrida tra odierno e antico, tra archeologico e sportivo, tra Storia e storie, con la maiuscola e con la minuscola, l’esposizione è allestita nella sede della Fondazione di Corso Venezia a Milano, con la collaborazione di istituzioni che mescolano saperi diversi in un insieme che salda la storia dei Giochi olimpici antichi del mondo classico, con quelli moderni partiti su ispirazione di Pierre De Coubertin nel 1896, in un intreccio di costanti, di rivisitazioni e di cambiamenti necessari per resistere nel tempo senza tradirsi e insieme sopravvivere in un mondo che aggiorna i propri valori.

Ora che la competizione tra città Stato-greche con risvolti religiosi si è fatta laica e tra Nazioni, si torna a parlare di tregua olimpica, nel nome dell’olimpismo neutrale e universale, in un mondo attraversato da venti di grande tensione, che non da ora soffiano attorno alla fiamma olimpica. Si pensi che esiste come la conosciamo ora da Berlino 1936, nata per essere l’Olimpiade di Hitler e passata alla storia come quella Jessie Owens, e che proprio mentre scriviamo, la fiamma accesa per Milano Cortina pochi giorni fa a Olimpia, sta iniziando il suo viaggio in Italia.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia di accensione del braciere olimpico in vista dei Giochi di Milano Cortina 2026 che prenderanno il via il prossimo 6 febbraio, Roma, 5 dicembre 2025. // Italian President Sergio Mattarella during the lighting ceremony of the Olympic cauldron ahead of the Milan-Cortina 2026 Games, in Rome, Italy, 5 December 2025. The Milan Cortina 2026 Games will start on 6 February 2026. ANSA/ETTORE FERRARI
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia di accensione del braciere olimpico in vista dei Giochi di Milano Cortina 2026 che prenderanno il via il prossimo 6 febbraio, Roma, 5 dicembre 2025. // Italian President Sergio Mattarella during the lighting ceremony of the Olympic cauldron ahead of the Milan-Cortina 2026 Games, in Rome, Italy, 5 December 2025. The Milan Cortina 2026 Games will start on 6 February 2026. ANSA/ETTORE FERRARI
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia di accensione del braciere olimpico in vista dei Giochi di Milano Cortina 2026 (ANSA)

Il 6 dicembre parte per la staffetta che la porterà ad accendere il tripode di Milano Cortina allo stadio San Siro, il 6 febbraio 2026. La risoluzione Onu sulla tregua olimpica è stata approvata il 19 novembre scorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite con i voti favorevoli di 160 Paesi, erano 84 per Parigi 2024. In segno di impegno dello sport olimpico per la pace – sempre lontana - in tutti i villaggi olimpici di Milano-Cortina 2026, la prima Olimpiade diffusa, ci sarà un simbolo: un Muro per la tregua olimpica che darà a tutti gli atleti lo spazio per esprimere il proprio messaggio di pace.

Percorrendo la mostra tra il piano nobile e l’ipogeo, “sotterraneo” detto alla greca in perfetta coerenza con quello che si vede, lo snodo della mostra collega reperti di archeologia classica ad altri di storia olimpica contemporanea, Giochi antichi e moderni nella loro materialità anche fisica: a mostrare l’evoluzione tecnica, filosofica, culturale.

«L’inevitabile attenzione all’evento sportivo da parte di un vasto pubblico», scrive nel saggio introduttivo del catalogo Giuseppe Sassatelli, «anche se animata da presupposti insoliti per un museo, sarà un valore aggiunto di questa proposta espositiva, il cui messaggio culturale potrà raggiungere un numero di visitatori più ampio e diversificato degli usuali fruitori di questo genere di iniziative. Un’occasione da non perdere, in linea con la missione della Fondazione di riflettere sul mondo antico in modo aggiornato e attrattivo».

Far uscire la cultura e lo sport dalle rispettive bolle è uno degli elementi strutturali del programma culturale connesso ai Giochi Olimpici di Milano Cortina: «Questa mostra, che con il fascino estetico dell’accostamento dei cimeli antichi e moderni rende l’idea di due mondi che si parlano» spiega, Domenico De Maio, Education & Culture Director di Milano Cortina 2026 «rappresenta bene l’idea di fondo dell’Olimpiade culturale, ossia dei numerosi eventi organizzati in accordo con il Comitato olimpico internazionale in avvicinamento e in concomitanza con i Giochi olimpici e paralimpici, il cui obiettivo è far in modo, da un lato che la cultura parli di sport e che i luoghi tradizionali della cultura, dai teatri ai musei, accolgano il contenuto sportivo, dall’altro che lo sport esca dalla propria bolla e colga questa grande occasione di arricchimento in senso ampio, capace di abbracciare sia la cultura in senso stretto, sia il grande potenziale etico, civile e sociale che lo sport ha in sé e che i valori dell’olimpismo rappresentano».

La sintesi che si coglie in questo allestimento è perfetta per rendere l’obiettivo di creare osmosi tra due pubblici che non sempre coincidono, proprio come gli accostamenti in apparenza arditi, anziché cesura, si fanno ponte nelle cinque sezioni della mostra: è probabile che di primo acchito l’archeologia parli al pubblico appassionato di storia e cultura e che i cimeli moderni parlino all’inizio agli appassionati di sport, ma è l’allestimento stesso a guidare gli uni e gli altri a cogliere l’insieme di una storia interconnessa.

Se, da una parte, le anfore e i reperti archeologici ci trasmettono e rendono l’ideale anche estetico dell’atleta classico che da Olimpia trasmigra conservando le sue proporzioni astrattamente perfette nel mondo etrusco, storicamente a contatto con quello greco, e poi nel mondo romano; i simboli recenti mostrano quanto lo sport moderno abbia superato quell’ideale di proporzione uguale per tutti, per esaltare le differenze dei corpi che si specializzano e si fanno, nella diversità di ciascuno, funzionali nelle differenze alle rispettive discipline, includendo sempre di più, senza far venir meno l’essenza della competizione e l’aspirazione alla vittoria.

A spiegare questo concetto, a colpo d’occhio, sono le piccole le scarpe servite ai 400 ostacoli d’oro dell’esilissima Nawal El Moutawakel, la prima donna araba e africana a conquistare l’oro olimpico a Los Angeles 1984; le scarpe enormi autografate da Michael Jordan, leggenda Nba e campione olimpico sul parquet di Barcellona 1992, la prima edizione ad ammettere i professionisti della pallacanestro del Nordamerica, e la protesi di Urs Kelly, due volte campione paralimpico di salto in lungo, utilizzata per l’oro di Atene 2004.

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La teca dedicata al pugilato e alla lotta

Con buona pace del Barone Pierre de Coubertin, inventore dei Giochi moderni, che non vedeva di buon occhio né professionismo né donne, forse per contrappasso a guardare dall’alto in basso i suoi guantoni da boxe esposti in mostra c’è la giovane Pugilatrice dipinta da Giacomo Gabbiani (1926). Le donne del resto c’erano già, malgré lui, nel 1900. Erano il 2,2% adesso sono la metà. E se è vero che per l’embrione delle Paralimpiadi sarebbe servito un altro mezzo secolo, oggi abbiamo pressoché universalmente acquisito che l’evento paralimpico è definitivamente un evento sportivo, non sociale, non di altra natura, guidato dall’unico motto olimpico: citius, altius, fortius cui recentemente s’è aggiunto il “communiter” (insieme) che meriterà un racconto a parte.

In un continuo dialogo tra moderno e antico camminando per la mostra si coglie, curioso, il fatto che “strigili” e contenitori per unguenti nel mondo antico, non fossero così dissimili dai tubetti dei fisioterapisti di oggi.

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La tomba delle Olimpiadi

L’elemento più suggestivo e prezioso è la trasposizione della cosiddetta Tomba delle Olimpiadi, un sepolcro aristocratico etrusco, (530-520 a.C), chiamata così perché scoperta nel corso della preparazione dei Giochi di Roma 1960, e per il soggetto sportivo che le pitture murali rappresentano. Poterla visitare al di fuori del parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia, ricomposta in uno spazio di mostra, cosa possibile grazie al fatto che gli affreschi sono stati staccati per metterne al sicuro la conservazione, è una rarità assoluta.

Alla fine tutto converge nella sezione sotterranea in cui convivono le medaglie odierne convivono con le anfore panatenaiche. Ripiene dell’olio ricavato dagli oliveti sacri ad Atena e preziose in sé per le loro decorazioni raffiguranti la dea e le gare della disciplina in questione, costituivano il premio per i vincitori dei Giochi panatenaici appunto, mentre a Olimpia il premio era simbolico: corona di olivo e sacra a Zeus e gloria imperitura.

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Medaglie moderne e premi antichi

La stessa gloria che cerca chi vinca le medaglie olimpiche di oggi, vere e proprie opere d’arte e di design che ogni Olimpiade disegna per sé (in mostra quelle di Torino) attraverso le quali ogni atleta ricerca la gloria perenne collegata al titolo più prestigioso dello sport, anche ora che molti apprenderanno solo tra queste sale che la Nike (pronuncia greca Nike), alla lettera la vittoria, è stata una donna alata per millenni prima di essere surclassata dal marketing anche se si spera, non cassata, con un baffo sulla stoffa.