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Se c’è un ambito in cui il patriottismo non ha motivo d’esistere, quello è il mondo della musica. È il linguaggio universale per eccellenza (accanto alla matematica), tanto che Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo ha ipotizzato l’uso di suoni e brevi melodie per poter comunicare con i visitatori alieni. In Italia questa cosa del patriottismo ci ha preso la mano. Al punto che anche il mondo della musica ne subisce i contraccolpi. Si prenda come esempio il Concerto di Capodanno. Quello vero, quello che si trasmette in Mondovisione da Vienna. Istituito nel 1939 per dare lustro agli Strauss e alla tradizione viennese delle composizioni da ballo, ha acquisito nei decenni notorietà tale da venire trasmesso in un numero crescente di Paesi, non solo nella cerchia degli Stati membri dell’Unione Europea, ma anche negli Stati Uniti, in Australia, Giappone e alcuni Stati asiatici e africani.
Anche mamma Rai lo ha trasmesso in diretta per decenni a partire dal 1959 (anche se solo la seconda parte, quella con i famosi bis del Danubio Blu e della Radetzky-Marsch). Fino al 2003. Dall’anno dopo, il servizio pubblico lo trasmette in differita. Il perché è presto detto: l’anno successivo è stata data la stura alla versione nostrana del Concerto di Capodanno, in esecuzione dal teatro La Fenice di Venezia. Voleva essere un evento celebrativo adatto a festeggiare la rinascita del teatro lirico veneziano dopo l’incendio del 1996, è diventato un appuntamento fisso annuale del 1° gennaio, ovviamente in diretta. Repertorio? Italiano, ça va sans dire. Chi siamo noi italiani, avrà pensato qualche patriota, per non aver diritto al nostro concerto di Capodanno? Verdi non vale Johann Strauss? Un’aria della Turandot non è meglio di walzer viennese?
Succede, così, che di soli tre eventi musicali colti (la Prima alla Scala e i due Concerti di Capodanno) trasmessi dal servizio pubblico l’Italia è riuscita nell’impresa di crearne uno ex novo esattamente nello stesso giorno dell’unico altro trasmesso in diretta. E mentre tutto il resto del mondo si gloriava della conduzione di Riccardo Muti (un italiano? Che beffa!) sul podio del Musikverein alla guida dei Wiener Philharmoniker, in Italia abbiamo aspettato che finisse il concerto nostrano per mandare in differita il vero Concerto di Capodanno.
Urge una rapida e profonda riflessione sul senso del termine patriottismo e, in particolare, un suo altrettanto rapido allontanamento dal mondo universale della musica.
Anche mamma Rai lo ha trasmesso in diretta per decenni a partire dal 1959 (anche se solo la seconda parte, quella con i famosi bis del Danubio Blu e della Radetzky-Marsch). Fino al 2003. Dall’anno dopo, il servizio pubblico lo trasmette in differita. Il perché è presto detto: l’anno successivo è stata data la stura alla versione nostrana del Concerto di Capodanno, in esecuzione dal teatro La Fenice di Venezia. Voleva essere un evento celebrativo adatto a festeggiare la rinascita del teatro lirico veneziano dopo l’incendio del 1996, è diventato un appuntamento fisso annuale del 1° gennaio, ovviamente in diretta. Repertorio? Italiano, ça va sans dire. Chi siamo noi italiani, avrà pensato qualche patriota, per non aver diritto al nostro concerto di Capodanno? Verdi non vale Johann Strauss? Un’aria della Turandot non è meglio di walzer viennese?
Succede, così, che di soli tre eventi musicali colti (la Prima alla Scala e i due Concerti di Capodanno) trasmessi dal servizio pubblico l’Italia è riuscita nell’impresa di crearne uno ex novo esattamente nello stesso giorno dell’unico altro trasmesso in diretta. E mentre tutto il resto del mondo si gloriava della conduzione di Riccardo Muti (un italiano? Che beffa!) sul podio del Musikverein alla guida dei Wiener Philharmoniker, in Italia abbiamo aspettato che finisse il concerto nostrano per mandare in differita il vero Concerto di Capodanno.
Urge una rapida e profonda riflessione sul senso del termine patriottismo e, in particolare, un suo altrettanto rapido allontanamento dal mondo universale della musica.



