Da Gerusalemme - 

Quasi il 43% degli israeliani ha meno di 24 anni e l'età media nel Paese è di 29 anni. Qui, però, essere giovani non è un privilegio, al contrario: il primo impatto che hai con la gioventù è metterti al servizio del Paese facendo il militare (3 anni i maschi, 2 le femmine). E andando in guerra. Ieri un conoscente di qui mi ha detto: "Questa di Gaza è stata la prima guerra in cui nessuno dei miei coetanei è stato coinvolto. Mi sento come se in guerra fossero andati i miei nipoti". A soli 43 anni, il mio conoscente sentiva che una grossa responsabilità era ormai passata sulle spalle di altri, i più giovani.

E questo vale non solo per la sicurezza del Paese o per le guerre che decide di combattere. Vale per tutto. Negli anni Ottanta furono i giovani ad animare i movimenti pacifisti che, all'epoca della spedizione in Libano e dei massacri di Sabra e Chatila, suonarono la campana d'allarme su una potenziale deriva militare.

L'altro ieri, nel 2011, sono stati ancora una volta i giovani, con il movimento Occupy Tel Aviv, a richiamare l'attenzione su una gestione dell'economia certo brillante in termini generali (disoccupazione al 6,2%, crescita non enorme ma regolare) ma costruita in modo da penalizzare il futuro: crescita esponenziale del costo delle abitazioni, investimenti da aumentare nel settore dell'educazione (c'è stato un vero crollo dell'occupazione tra gli uomini con pochi anni di studio alle spalle), trasporti (per quanto, paragonati ai nostri...) da migliorare per una popolazione che fa del dinamismo e della mobilità una sua caratteristica.

Il tutto mentre si osservava un forte calo delle giovani famiglie proprietarie della casa in cui vivevano e una crescita del numero dei giovani che continuavano a vivere coi genitori. Insomma, da queste parti essere giovani è un affare serio.