Si è insediato Hassan Rohani, il nuovo presidente, e il mondo si è concentrato sulla Siria. Così il nucleare dell'Iran e quella bomba atomica che, secondi molti, era già pronta o pronta nel giro di qualche settimana, sono usciti di scena. Nessuno ne parla più. Si torna invece a parlare, a dispetto degli embarghi, del petrolio dell'Iran.

Rohani ha richiamato al Governo, proprio come ministro del Petrolio, quel Bijan Zanganeh che fu già ministro in passato (1997-2005) e che l'ex presidente Mahmud Ahmadinejad aveva accusato di essere il capo della "mafia del petrolio". Insediato Ahmadinejad, Zanganeh fu subito liquidato. Ora è ricomparso, con un obiettivo piuttosto ambizioso: riportare la produzione iraniana di greggio ai livelli del 2005, cioè 4 milioni e 200 mila barili al giorno, cioè il 60% più di oggi.

Ma è sui contratti per il petrolio che l'Iran gioca la sua partita economica e politica. Pare che la nuova linea sia di offrire alle compagnie petrolifere contratti "production sharing" (la compagnia partecipa alle spese di sfruttamente del giacimento e riceve in cambio una percentuale del petrolio estratto), assai più convenienti di quelli "buy back" (con cui la compagnia riceve una quantità predeterminata del petrolio estratto) proposti finora.