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domenica 12 gennaio 2025
 
covid
 

E ora il vaccino Sputnik piace anche a Bruxelles

04/03/2021  L'agenzia europea del farmaco Ema ha avviato la valutazione e la Russia è pronta a distribuire 50 milioni di dosi all'Unione. Ma dietro il siero di Mosca si nasconde un clima da guerra fredda, in cui è coinvolta anche l'Italia

Prima di parlare direttamente di Sputnik V, il vaccino anti-Covid che, giriamola come ci pare, è una vittoria scientifica e ancor più politica della Russia di Vladimir Putin, dobbiamo affrontare un piccolo giallo che, al di là di certa burocrazia, dice molto dell’intera vicenda. Nelle scorse ore, l’EMA (l’Agenzia europea per i medicinali, sede ad Amsterdam, che valuta e approva i nuovi rimedi per conto dell’intera Ue) ha comunicato di aver avviato la rolling review del vaccino made in Russia. Ovvero, è partita una procedura d’emergenza per valutare il nuovo medicinale in tempi stretti, in questo caso mentre è già in uso. Eppure, solo un paio di settimane fa, la stessa EMA comunicava in via altrettanto ufficiale di “non aver finora ricevuto la domanda per la rolling review o per un’autorizzazione di commercializzazione per il vaccino contro il Covid-19 sviluppato dal Centro Gamaleya” di Mosca. Mentre il Russian Direct Investment Fund (cioè il Fondo sovrano russo, che ha finanziato la produzione del vaccino) sosteneva proprio il contrario e pubblicava sull’account Twitter di Sputnik V (https://twitter.com/sputnikvaccine) documenti a riprova.

Occhio ai tempi. Quelli erano i giorni in cui una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, l’inglese The Lancet, pubblicava i risultati della Fase III di sperimentazione su 20 mila soggetti e diceva che lo Sputnik V è “efficace al 91,6%” ed è “sicuro”. Ed erano anche i giorni in cui la povera Ursula von der Leyen, coperta di critiche per la poca efficienza della Ue nel piano vaccini, sosteneva che Putin voleva dare in giro il suo vaccino ma che non vaccinava i russi. Poco più di un gioco di parole. In Russia sono state finora vaccinate più di 4 milioni di persone. Poche rispetto ai 110 milioni di russi adulti ma più che sufficienti come test. E nessuno, ma proprio nessuno, è riuscito a dimostrare che Sputnik V faccia male. Per quel che vale, chi scrive conosce almeno tre famiglie, a Mosca, che sono state vaccinate da settimane e non lamentano alcun effetto collaterale. E resta il fatto che in Russia (140 milioni di abitanti) ci sono meno contagi che in Italia (60 milioni), nonostante che le restrizioni anti-Covid, a Mosca e dintorni, lassù siano più blande che da noi.

Quindi: se ora l’EMA ha varato quella rolling review che solo pochi giorni fa diceva non esserle nemmeno stata chiesta (e che peraltro nemmeno ora dice esserle stata chiesta dai russi, che continuano a sostenere il contrario https://www.ema.europa.eu/en/news/ema-starts-rolling-review-sputnik-v-covid-19-vaccine), forse le ragioni non sono scientifiche ma politiche. Sputnik V è stato approvato da 37 Paesi che insieme sommano 1,1 miliardi di persone. Tra questi ce ne sono due che sono membri Ue, ovvero Ungheria e Slovacchia, che di fatto si sono ribellati all’EMA e alla Von der Leyen e rischiano di innescare all’interno dell’Unione una slavina di decisioni autonome. Vedi l’Austria, la Germania che propone alla Russia una co-produzione del vaccino, i brontolii italiani e quelli della Repubblica Ceca.

Non ci dobbiamo stupire. La corsa al vaccino anti-Covid è sempre stata una questione quasi più politica che scientifica. E di propaganda, pure: fino a un mese fa ancora si leggeva su certi giornali che la campagna vaccinale russa era “un salto nel buio”, un azzardo, forse una follia. Ma fin dall’inizio Cina, Usa e Russia hanno gareggiato per avere il primo vaccino e poterlo usare come un importante attrezzo geopolitico. La Russia, che ha vinto la corsa, è un esempio da manuale. Ha fornito lo Sputnik V a Paesi che noi snobbiamo e trattiamo da pezzenti che si vaccinerebbero con qualunque porcheria ma che hanno grande rilievo strategico: dall’America Latina (Argentina, Venezuela) ai Balcani (Serbia, Montenegro, Macedonia), dall’Europa comunitaria all’Africa. E naturalmente in tutta l’area ex sovietica che può ancora raggiungere, a partire dalla travagliata Bielorussia. 

Nello stesso tempo, e qui davvero si vede il calcolo politico, la Russia continua a non chiedere all’EMA la licenza di marketing del vaccino. In altre parole: il Cremlino vuole che la Ue sia costretta ad ammettere la validità medica e scientifica di Sputnik V (vedi rolling review dell’EMA), è più che disposto a fornirlo ai singoli Paesi europei che vogliano richiederlo, ma non è per nulla interessato a cavare le castagne vaccinali dal fuoco della pandemia a un’Unione Europea che dal 2014 non fa che aumentare le sanzioni contro la Russia. Lo spieghi la Von der Leyen, se può, perché gli europei devono aspettare vaccini che tardano, e intanto ammalarsi e magari morire, mentre un piccolo Paese come la Serbia di vaccini ne ha quattro (tra cui, ovvio, quello russo) e i cittadini possono addirittura scegliere con quale vaccinarsi.

Resta infine un aspetto non secondario. Una delle difficoltà nei rapporti tra Russia e Ue a proposito del vaccino è la ritrosia russa ad accettare le ispezioni dell’EMA nei siti di produzione di Sputnik V. Ufficialmente, il vaccino russo è stato sviluppato dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica “Gamaleya” di Mosca. Nikolay Fyodorovic Gamaleya era nato a Odessa nel 1859, aveva studiato a Parigi con Louis Pasteur (1885-1886) e, tornato nella Russia ancora zarista, era diventato un precursore nel campo dei vaccini e un luminare dell’epidemiologia. Morì a Mosca nel 1949, passando indenne la rivoluzione bolscevica, le purghe staliniane e la seconda guerra mondiale e, anzi, uscendone onoratissimo. Nell’anno stesso della sua morte il Centro prese il suo nome.

Ne parliamo perché il “Gamaleya”, come centro di ricerca scientifica, gode di buona fama. L’ha confermata di recente anche Konstantin Chumakov, un virologo americano che è consigliere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e membro del Global virus Network. Buona fama ma non fama di eccellenza. Le precedenti performance del Centro annoverano un vaccino contro Ebola arrivato però a fine epidemia e un vaccino con la MERS (Sindrome respiratoria medio-orientale) che è interessante perché anche la MERS è un tipo di Covid, ma che ha avuto una limitata applicazione. Davvero, dunque, il fenomeno Sputnik V è nato qui? Perché, allora, tanta segretezza?

La sensazione è che, dietro, ci sia qualcosa di più. Qualcosa che potrebbe riguardare l’Italia. Ricordate quel centinaio di tecnici e scienziati militari della missione “From Russia with love”, che nella primavera 2020 arrivarono a Bergamo e cominciarono a sanificare le case di riposo? Credendo di essere furbi, alcuni giornali cominciarono a fantasticare di spie venute per curiosare nelle basi Nato o per irrorare con liquidi pericolosi le città. Sciocchezze che, nell’epoca degli hacker e dei satelliti, mancavano ridicolmente il bersaglio. Quei militari erano fior di specialisti che, mentre ci davano una mano, raccoglievano dati importanti sul Covid proprio dove la pandemia toccava il record mondiale di aggressività e pericolosità.

Sembra lecito ipotizzare, quindi, che alla preparazione di Sputnik V abbiano messo mano anche i laboratori militari, quelli sì un’eccellenza, e che da qui derivi la scarsa voglia dei russi di ricevere ispettori europei che, siamo maligni, potrebbero a loro volta avere curiosità varie, non solo legate ai processi medico-scientifici. Per non parlare di altri intrecci in cui medicina, scienza, apparati statali e politica si incrociano in molti inattesi. Il finanziere Kirill Dmitriev (studi a Stanford e Harvard, inizi di carriera da McKinsey e Goldman Sachs) è l’amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund, come si diceva il Fondo sovrano dello Stato russo. Ma è anche il marito di Natalia Popova, che è vicedirettrice di Innopraktika, un istituto legato a un progetto da un miliardo e mezzo di dollari per la costruzione di uno hub medico-scientifico, specializzato nell’intelligenza artificiale, presso l’Università di Mosca. E chi è la direttrice del detto istituto? Katerina Tikhonova, 33 anni, la figlia minore di Putin. La stessa figlia che, come raccontò lo stesso Putin poco dopo aver annunciato lo Sputnik V, è stata una delle prime cittadine russe a sperimentare il vaccino nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

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