«Tutta la Chiesa è stata resa da Gesù una comunità dispensatrice di misericordia, un segno e uno strumento di riconciliazione per l’umanità. Fratelli, sorelle, ciascuno di noi ha ricevuto nel Battesimo lo Spirito Santo per essere uomo e donna di riconciliazione». È la seconda Domenica di Pasqua che dal 1992 San Giovanni Paolo II ha voluto dedicare alla Divina Misericordia.
Papa Francesco nella Basilica di San Pietro contrariamente a quanto previsto, non presiede la Messa ma legge l’omelia. Al suo posto, a presiedere la liturgia, è l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio della Nuova evangelizzazione. Negli ultimi tempi, il Pontefice ha dovuto rinunciare a diversi impegni a causa del persistente e forte dolore al ginocchio. Il Papa, poco prima delle 10, è entrato in Basilica, senza indossare i paramenti liturgici, e si è seduto su una poltrona nelle vicinanze dell'Altare della Confessione.
A concelebrare con mons. Fisichella, 420 tra cardinali, vescovi e sacerdoti, questi ultimi in particolare Missionari della Misericordia, figura da istituita da Bergoglio durante il Giubileo straordinario del 2015-2016, che in questi giorni tengono a Roma il loro terzo Incontro mondiale. Negli ultimi anni segnati dalla pandemia, Francesco aveva celebrato la messa di questa Domenica nella chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, Santuario della Divina Misericordia. Oggi invece era tutto pronto affinché presiedesse la celebrazione nella Basilica vaticana. Evidentemente il dolore per lo strappo al ginocchio destro gli impedisce ancora di sostenere sforzi e di rimanere troppo tempo in piedi.
Due giorni fa il Pontefice aveva annullato le udienze previste per la necessità di sottoporsi a controlli sanitari. Sabato mattina, durante l'udienza nella Sala Clementina ai circa 120 partecipanti al simposio “Sulle orme del Cardinale Suenens. Lo Spirito Santo, Maria e la Chiesa”, promosso dall'Associazione Fiat, sempre a causa della gonalgia di cui soffre, Francesco ha pronunciato il suo saluto da seduto e così si è rivolto ai partecipanti: «Vi chiedo scusa perché vi saluterò seduto, perché questo male al ginocchio non mi permette di stare in piedi tanto. Excusez-moi».
Francesco nell’omelia si sofferma sul Vangelo odierno e sul significato di questa ricorrenza che chiude la grande settimana di Pasqua: «Quando sperimentiamo la gioia di essere liberati dal peso dei nostri peccati, dei nostri fallimenti; quando sappiamo in prima persona che cosa significa rinascere, dopo un’esperienza che sembrava senza via d’uscita, allora bisogna condividere con chi ci sta accanto il pane della misericordia», dice il Papa che ricorda come nel Vangelo odierno il «Signore risorto appare ai discepoli e a loro, che l’avevano abbandonato, offre la sua misericordia, mostrando le sue piaghe. Le parole che rivolge loro sono ritmate da un saluto, che compare nel Vangelo odierno ben tre volte: “Pace a voi!”. Questo, sottolinea, è «il saluto del Risorto, che viene incontro a ogni debolezza e sbaglio umano. Seguiamo allora i tre pace a voi! di Gesù e vi scopriremo tre azioni della divina misericordia in noi. Essa anzitutto dà gioia; poi suscita il perdono; infine consola nella fatica».
Quando la sera di Pasqua, continua il Papa, «i discepoli vedono Gesù e si sentono dire per la prima volta pace a voi!, gioiscono. Erano chiusi in casa per la paura; ma erano anche chiusi in sé stessi, abbattuti da un senso di fallimento. Erano discepoli che avevano abbandonato il Maestro: al momento del suo arresto, si erano dati alla fuga. Pietro lo aveva addirittura rinnegato tre volte e uno del loro gruppo – uno di loro! – era stato il traditore. C’erano motivi per sentirsi non soltanto impauriti, ma falliti, gente da niente. In passato, certo, avevano fatto scelte coraggiose, avevano seguito il Maestro con entusiasmo, impegno e generosità, ma alla fine tutto era precipitato; la paura aveva prevalso e avevano commesso il grande peccato: lasciare solo Gesù nel momento più tragico. Prima della Pasqua pensavano di essere fatti per grandi cose, discutevano su chi fosse il più grande tra di loro... Ora si trovano a toccare il fondo».
Perché dunque gioiscono? Perché, dice il Papa, «quel volto, quel saluto, quelle parole spostano la loro attenzione da sé stessi a Gesù. Vengono distolti da sé stessi e dai propri fallimenti e attirati dai suoi occhi, dove non c’è severità,ma misericordia. Cristo non recrimina sul passato, ma dona loro la benevolenza di sempre. E ciò li rianima, infonde nei loro cuori la pace perduta, li rende uomini nuovi, purificati da un perdono donato senza calcoli e senza meriti. Questa è la gioia di Gesù, la gioia che abbiamo provato anche noi sperimentando il suo perdono».
«In Tommaso c'è la storia di ogni credente»
Francesco ricorda che «è capitato di assomigliare ai discepoli della sera di Pasqua: dopo una caduta, un peccato, un fallimento. In quei momenti sembra che non ci sia più nulla da fare. Ma proprio lì il Signore fa di tutto per donarci la sua pace: attraverso una Confessione, le parole di una persona che si fa vicina, una consolazione interiore dello Spirito, un avvenimento inaspettato e sorprendente... In vari modi Dio si premura di farci sentire l’abbraccio della sua misericordia, una gioia che nasce dal ricevere “il perdono e la pace”. Sì, quella di Dio è una gioia che nasce dal perdono e lascia la pace, una gioia che rialza senza umiliare».
Il Pontefice sottolinea il secondo “Pace a voi” rivolto da Gesù ai discepoli in cui aggiunge “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. E dona ai discepoli lo Spirito Santo, per renderli operatori di riconciliazione: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”: «Non solo ricevono misericordia, ma diventano dispensatori di quella stessa misericordia che hanno ricevuto», nota il Papa, «ricevono questo potere, ma non in base ai loro meriti, no: è un puro dono di grazia, che poggia però sulla loro esperienza di uomini perdonati. E oggi e sempre nella Chiesa il perdono ci deve raggiungere così, attraverso l’umile bontà di un confessore misericordioso, che sa di non essere il detentore di qualche potere, ma un canale di misericordia, che riversa sugli altri il perdono di cui lui per primo ha beneficiato. “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”. Queste parole sono all’origine del sacramento della Riconciliazione, ma non solo. Sentiamoci chiamati a questo. E chiediamoci: io, qui dove vivo, in famiglia, al lavoro, nella mia comunità, promuovo la comunione, sono tessitore di riconciliazione? Mi impegno per disinnescare i conflitti, per portare perdono dove c’è odio, pace dove c’è rancore?».
Bergoglio si sofferma anche sull’episodio dell’incredulità di Tommaso che vuole vedere e toccare le piaghe di Gesù: «Il Signore non si scandalizza della sua incredulità, ma gli viene incontro: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani”. Non sono parole di sfida, ma di misericordia. Gesù comprende la difficoltà di Tommaso: non lo tratta con durezza e l’apostolo è scosso dentro da tanta benevolenza. Ed è così che da incredulo diventa credente, e fa la confessione di fede più semplice e bella: “Mio Signore e mio Dio”. È una bella invocazione, possiamo farla nostra e ripeterla durante la giornata, soprattutto quando sperimentiamo dubbi e oscurità, come Tommaso. Perché in Tommaso c’è la storia di ogni credente: ci sono momenti difficili,in cui sembra che la vita smentisca la fede, in cui siamo in crisi e abbiamo bisogno di toccare e di vedere. Ma, come Tommaso, è proprio qui che riscopriamo il cuore del Signore, la sua misericordia. In queste situazioni Gesù non viene verso di noi in modo trionfante e con prove schiaccianti, non compie miracoli roboanti, ma offre caldi segni di misericordia. Ci consola con lo stesso stile del Vangelo odierno: offrendoci le sue piaghe. E ci fa scoprire anche le piaghe dei fratelli e delle sorelle».
Francesco ricorda che «la misericordia di Dio, nelle nostre crisi e nelle nostre fatiche, ci mette spesso in contatto con le sofferenze del prossimo. Pensavamo di essere noi all’apice della sofferenza, al culmine di una situazione difficile, e scopriamo chi, rimanendo in silenzio, sta passando periodi peggiori. E, se ci prendiamo cura delle piaghe del prossimo e vi riversiamo misericordia, rinasce in noi una speranza nuova, che consola nella fatica. Chiediamoci allora», è l’invito finale, «se negli ultimi tempi abbiamo toccato le piaghe di qualche sofferente nel corpo o nello spirito; se abbiamo portato pace a un corpo ferito o a uno spirito affranto; se abbiamo dedicato un po’ di tempo ad ascoltare, accompagnare, consolare. Quando lo facciamo, incontriamo Gesù, che dagli occhi di chi è provato dalla vita ci guarda con misericordia e ci ripete: Pace a voi!».