La copertina del libro di padre Francesco Occhetta dal titolo "Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi". Prefazione di Marta Cartabia (Edizioni San Paolo)
«Il test delle elezioni regionali in Emilia Romagna è importante, ma è una regione, non il Paese. Il Governo invece ha bisogno di rinascere “per qualcosa” e non solo continuare “contro qualcuno”; su questo punto c’è molta turbolenza a causa dello smarrimento politico dei 5 Stelle, che sopravvive di tattica e sempre meno di strategia». Lo stallo del Parlamento, le convulsioni della maggioranza, l’attacco dei sovranismi, un po’ in ritirata ma sempre alle porte, l’antipolitica. Per capire il 2020 niente di meglio che chiedere al politologo di La Civiltà Cattolica, il gesuita Francesco Occhetta. Nel suo ultimo saggio Ricostruiamo la politica (edito da San Paolo, con la prefazione della nuova presidente della Consulta Marta Cartabia) aveva già fornito una preziosa bussola per orientarsi nella babele dei populismi italiani ed europei.
Che ne pensa del movimento delle sardine?
«Sono un movimento nato per contrastare le parole d’odio e il sintomo di un disagio sociale che esprime l’opposizione “contro tutti i populismi” e l’insufficienza delle altre proposte politiche. Nel passato sono nati movimenti come la Rete, i girotondi, il popolo viola per cercare di trasformare la protesta in proposta, poi sono implosi. Quando il silenzio delle sardine diventerà parola sarà più chiara la loro proposta. Il Novecento lo insegna: quando il popolo ha paura la politica ha davanti a sé due scelte: rivestire le parole di odio, come hanno fatto i totalitaristi, oppure di speranza, come ha fatto la cultura popolare e democratica. Alle sardine va data fiducia, ma sarà “catartico” per loro passare dallo sdegno alle soluzioni concrete».
Quali sono i temi urgenti dell’agenda politica nel 2020?
«Anzitutto il lavoro e il tema ambientale, poi la giustizia. Una giustizia in cui la vendetta lasci spazio alla riparazione della pena e alla riconciliazione delle tensioni sociali. Occorre poi contrastare la denatalità e gestire la longevità: con il Giappone siamo il Paese più longevo al mondo e nelle case degli italiani ci sono 402 mila badanti. La famiglia italiana ha cambiato natura, ha indebolito la rete di solidarietà, ci sono un milione di nuclei monoparentali, il 7% delle famiglie è ricomposto. Occorre poi ridurre le diseguaglianze: la differenza di stipendio tra un manager e un operaio è esorbitante, mentre negli studi professionali i giovani ricevono paghette. Sono troppe le persone povere intrappolate nelle catene della dipendenza, nel giro dell’usura. Sui temi di bioetica la deriva dell’eutanasia si impone senza dibattito pubblico, segno di un Paese vecchio nel cuore che invece di investire sulla vita è disposto a negarsela. Perché la politica permetta che si riponga la speranza di un futuro migliore nel gioco d’azzardo? Le cifre sono come una manovra economica: nel 2017 gli italiani hanno giocato 101,8 miliardi di euro, nel 2006 la spesa non superava i 35 miliardi. Il Paese si è frammentato e la politica è chiamata a ricostruire un “noi sociale”: quando in Oriente una ceramica si rompe si rimettono insieme tutti i frammenti attraverso l’oro fuso mediante l’arte del Kintsugi. È questa l’urgenza della politica».
Non trova che i cattolici stiano vivendo una stagione di irrilevanza?
«Direi di no. Il presidente della Repubblica, del Consiglio e della Corte costituzionale mi risulta siano cattolici, molti ministri lo sono, così come migliaia di amministratori locali. Non c’è un partito unico, mancano le condizioni storiche; non esiste nemmeno l’urgenza di un sinodo, c’è solo bisogno di formazione spirituale che formi una nuova classe dirigente. In gioco, invece, c’è la qualità della laicità che rischia di imporsi come divisiva e non inclusiva. I cattolici hanno il compito di custodire insieme la democrazia, intesa come bene fragile e luogo di ricomposizione degli interessi attraverso il radicamento territoriale, la rappresentatività sociale, l’elaborazione culturale e la partecipazione attiva. Non deve stupire se si svolge una funzione di lievito più che di massa. Il fine non è il collateralismo al potere, ma il servizio al popolo. Il sacrificio di Moro nel 1978 e di Vittorio Bachelet e Piersanti Mattarella nel 1980 ce lo ricordano. È questo l’orizzonte radicale da cui ripartire per le diverse anime del mondo cattolico».