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lunedì 10 febbraio 2025
 
 

Germania, potenza anche del gol

25/04/2013  Il nuovo "miracolo" del calcio tedesco e l'impotenza di quello italiano, almeno a certi livelli. Le ragioni del boom (loro) e quelle del flop (nostro).

Nella corsa al calcio sostenibile, un solo punto di riferimento: la Germania. Conti in ordine, risultati eccellenti, la spinta dei giovani. E dire che i tedeschi sono abituati da anni a fare le nozze coi fichi secchi. O forse sarà proprio per quello che sono riusciti a trovare la giusta quadratura. Il campionato, innanzitutto. Poche stelle, in Bundesliga, se non quelle del Bayern Monaco. Più bilanci sani che fuoriclasse in campo.


Ma non solo i campioni fanno schizzare in alto il termometro dell’appeal. Qualità non eccelsa, seguito da primato. Un paio di stagioni fa, il sorpasso. Poi il perentorio allungo. La Premier League è alle spalle, ben distanziata. Ormai la Bundesliga non teme paragoni: è il campionato più visto, con una media spettatori ben superiore alle 40 mila unità a partita. Da noi si grida al miracolo per ogni insignificante incremento (siamo distanziati di circa 15 mila presenze a partita, un’enormità), in Germania dovrebbero far festa a oltranza.

Contano gli stadi, tra le altre cose. Imbarazzante il paragone con quelli italiani. Gli impianti di ultima generazione (autentici gioielli quelli costruiti per il Mondiale, altro che i soldi sperperati per Italia ’90) prevedono solo posti a sedere che non piacciono a quelli della curva? Nessun problema. Nella competizioni europee, dove vige l’obbligo, solo posti a sedere. In campionato, spazio ai tifosi della curva, quelli che preferiscono stare in piedi. E per di più a prezzi popolari, i più bassi dell’Europa calcistica più avanzata: 20 euro il prezzo medio, 10 quello di curva, poco più di 100 un abbonamento nei settori meno costosi. 

I tifosi, prima di tutto. Loro sono i padroni, a loro sono dedicate le attenzioni. Perché il calcio tedesco, per certi versi, è unico al mondo: le associazioni sportive sono società di capitale controllate per almeno il 51 per cento dai tifosi. Così se da un lato non è possibile che accada quel che è successo in Inghilterra, coi tanti club scalati da imprenditori stranieri, dall’altro i club non possono che venire incontro alle esigenze della gente, vera proprietaria del calcio. Il resto viene da sé: vietato sperperare quattrini, che invece entrano in cassa in gran quantità proprio per l’impressionante seguito che ha il calcio. 

Gli sponsor fanno a gare per imprimere il proprio marchio sulle maglie delle squadre tedesche, che ne ricavano oltre 100 milioni di euro, la cifra più alta in Europa. Lievitano le entrate diminuiscono le uscite: e tutti i club chiudono i bilanci con utili netti. E se la Bundesliga è alle spalle della Premier League in fatti di ricavi, il calcio tedesco primeggia in quanto a utile d’esercizio, di gran lunga il migliore d’Europa. Perché si spende meno anche per altre voci di bilancio. Prima di tutto gli stipendi dei calciatori; altrove incidono per il 62-64 per cento dei ricavi, in Germania solo per il 45 per cento. 

Senza dimenticare il calciomercato: nessuna corsa ai fuoriclasse strapagati (fatta eccezione per Javi Martinez del Bayern Monaco, mentre il Borussia Dortmund è passato nel giro di pochi anni da club a rischio fallimento a potenza del calcio europeo acquistando al risparmio gente come Lewandovski e Goetze, che ora costano un occhio della testa), piuttosto ci si butta su calciatori di medio livello a prezzo di saldo. E ciò non ha impedito al Bayern Monaco di disputare 2 finali di Champions League in 3 anni, in attesa della probabile terza, che potrebbe essere un derby tedesco col Dortmund. 

E poi ci sono i giovani, una miniera d’oro. In cui ha pescato a piene mani la nazionale (multietnica, oltre che verde). Età media di soli 25 anni (al Mondiale sudafricano più giovani erano solo Ghana e Corea del Nord), travaso continuo dalle giovanili (under 21 e under 17 campioni d’Europa in carica) alla nazionale maggiore. Normale se negli ultimi 10 anni l’età media dei giocatori autoctoni della Bundesliga è scesa da 28,8 a 25,3 anni e se il 27,5 per cento dei calciatori del campionato è composto da under 23 di nazionalità tedesca. Un piccolo grande miracolo. E un esempio da seguire.

Ivo Romano

Si era appena finito di elogiare il grande calcio spagnolo, sia di Nazionale che di club, e il neogrande calcio tedesco (di club) lo ha sbriciolato nell’andata in Germania delle prime due semifinali di Champions League: 4 a o del Bayern Monaco sul Barcellona ormai troppo Messidipendente, 4 a 1 del Borussia Dortmund sul Real Madrid. Il ritorno in Spagna: il 30 aprile a Madrid, il 1° maggio a Barcellona. Ma in Spagna pochi ormai credono nella remuntada (e doppia), nella rimonta miracolosa. La finale in Inghilterra, Londra, Wembley, il 25 maggio, partita secca.


Gli allenatori creatori del sensazionale positivo sono tedeschi, Heynckes del Bayern e Klopp del Borussia. Il primo è già dismesso: da luglio gli succede il catalano Guardiola, l’uomo che ha costruito il Barcellona dei mille passaggini e che è reduce da un anno sabbatico a New York. Gli allenatori colpevoli del sensazionale negativo sono uno spagnolo minacciato di tumore, Vilanova successore fatto in casa di Guardiola, e un portoghese sempre sul piede di partenza, il celeberrimo Mourinho.

E’ un grandissimo viluppo di persone, ipotesi, contatti, contratti. Si parla di trasferimenti importantissimi, qualcosa accade, molto accadrà. La vigilia della sua impresa il Borussia Dortmund ha dovuto sopportare due notizie forti da Monaco: Goetze e Lewandowski, i suoi gioielli, il prossimo anno giocheranno nella squadra bavarese (e Lewandowski ha segnato i quattro gol al Real Madrid, prima quadripletta in una semifinale). Da obbligare a dire che a Monaco Guardiola è atteso da un compito comunque disperato: fare meglio del suo predecessore, e dopo avere ottenuto simili rinforzi.

Noi italiani, fuori dalle coppe europee dopo i quarti di finale, siamo spettatori attoniti di una recita che annichilisce anche la nostra proverbiale bravura nella commedia dell’arte. Ci sono intrecci di fronte ai quali i nostri pur fervidi giochetti sul calciomercato appaiono misere cose. Non abbiamo i soldi per intervenire nel balletto. L’Inter parla di cinesi nel suo consiglio di amministrazione, poi ripiega: uzbeki, americani, forse danesi, magari nessuno. Gli statunitensi entrati nella Roma appaiono quasi degli avaracci. Intanto gli sceicchi arabi e gli oligarchi russi investono sempre e sempre più sul calcio inglese (quello tedesco è ricco di suo, come ancora quello spagnolo). 

La squadra del prossimo futuro potrebbe essere il Paris Saint Germain, di proprietà del Qatar, che non bada a spese. Ha saccheggiato il calcio degli italiani come degli ex italianizzati (Ibrahimovic e Thiago Motta, Thiago Silva e Verratti, Menez e Lavezzi, Sirigu e Pastore), ha ingaggiato l’allenatore Ancelotti, ha preso all’Inter il dirigente e non solo Leonardo. Ora si batte per avere dal Napoli Cavani. Vincerà lo scudetto e il prossimo anno avrà in Francia il rivale speciale, il Monaco nel senso di principato, tanti soldi russi, pronta risalita dalla serie B, allenatore italiano, Ranieri, ex fra l’altro di Juve e Inter. Suggerimento per consolarci di fronte ad un grande calcio in cui le nostre squadre non giocano più: almeno gli allenatori ci rappresentano, numerosi e bravi e fatti ricchissimi in Inghilterra come in Russia, in Cina come in Francia.

I nostri club invece, ricchi e poveri, si dibattono. La Juventus cerca il top player in attacco, pensa persino a un ritorno di Ibrahimovic, che però costa troppo col suo ingaggio di 12 milioni annui. Suarez cileno era il più cercato , sta nel Liverpool e si è preso dieci giornate di squalifica per avere morsicato un avversario. L’Inter sembra dissolta, è tutta da ricostruire. Il Milan fa finta di seguire sino in fondo la politica economica dei giovani, sperando che Balotelli non dia i numeri e El Shaarawy maturi. Il Napoli non sa come trattenere Cavani. 

C’è pure il valzerone degli allenatori, così grande che anche il passo di danza di Guardiola non ha avuto il rilievo che in altri tempi gli sarebbe stato assegnato. Idem il sacrificio di Heynckes. Ogni giorno ci si perde dietro dieci nuove pseudo notizie, da campo e da panchina. Non sono tutte bufale nel senso che poi i fatti non le confermeranno, sono tutte bufale nel senso che probabilissimamente ogni movimento è già deciso, ma si deve aspettare per l’ufficializzazione la fine della stagione, anche per dosare la droga da somministrare ai tifosi, alle genti.

Gian Paolo Ormezzano

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