Fino a quel momento a nessuno sarebbe venuto in mente che il pallone avesse un lato, figurarsi un lato comico. Poi è arrivata la Gialappa’s band e ha sconvolto la geometria del pallone. Son passati trent’anni - candeline grossomodo in tempo per il prossimo scudetto - e il trio cambia aria: da Mediaset alla Rai, da Mai dire gol a Quelli che il calcio.
Avevano iniziato con un’apparizione per voce sola ai microfoni di Radio Popolare, saggiando l’effetto della loro feroce ironia sul seriosissimo mondo del pallone. Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’86, quando Marco Santin, Giorgio Gherarducci e Carlo Taranto hanno travolto il calcio a suon di sfottò, fino ad autoproclamarsi maledizione di Montezuma del pallone: «Siamo partiti», ride Marco Santin, «scherzando con i malanni dei calciatori in Messico. La gialappa è una pianta perenne rampicante diffusa in America latina con effetti simili a quelli... della maledizione di Montezuma. Ci dicevano che con un nome così non avremmo mai sfondato. Primo fra tutti Alessio Gorla, produttore del nostro primo programma». Pronostico sbagliato e subito tradotto dai tre dissacratori in uno scherzo feroce: «Sapevamo che Gorla era abbonato alla rassegna stampa e a chiunque ci intervistava raccontavamo la storia facendo il suo nome: le nostre citazioni gli arrivavano a valanga in rassegna. A quel punto ci chiamò: “Mi arrendo, avete vinto”».
Gialappa’s per sempre
L’avventura anche televisiva della Gialappa’s band era cominciata, controcorrente. Hanno fatto Tv senza mai metterci la faccia. Obbedendo all’adagio dell’Ecce bombo morettiano: mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente? «È trent’anni che sogno che qualcuno me lo chieda», gongola ridendo Santin, «in realtà, venendo dalla radio, è stato naturale proporsi come voce fuori campo: poi ci siamo accorti che il video nulla avrebbe aggiunto, se non alla vanità. Anche se non mi avrebbe fatto schifo: ho passato la vita ad andare in giro con gente che arrivava sconosciuta a Mai dire gol e ne usciva così famosa da non poter più girare per strada, mentre io non venivo filato da nessuno. Scherzo, credo che anzi la faccia ignota sia stata il segreto della nostra longevità: pensa che barba le nostre facce per decenni... E invece così siamo rimasti giovani».
La formula “Mai dire” è stata declinata in vari modi, ma stavolta dicono che, se l’ironia resta immutata, non vedremo un “Mai dire Quelli che...”, anche se hanno promesso vita durissima al conduttore Nicola Savino. Il loro scopo principale sarà mandarlo in crisi: «Ma lui non ci va. Sa stare al gioco». Il 13 settembre comincia la luna di miele che durerà, su Rai 2, per tutto il campionato. La formula Gialappa’s era perfetta per i Mondiali: «Dove tutto è concentrato; il campionato ha il vantaggio che quello che non fa ridere oggi farà ridere domani: durante il calcio mercato tutti fenomeni, poi sai che lisci». Nessun bersaglio è premeditato: «Tanto uno spunto lo danno sempre».
Pionieri dissacranti
Al calcio mercato fanno il verso anche loro: «Abbiamo sempre sognato la maglia della Rai, sempre stati tifosi». In realtà sono gli unici riusciti nel miracolo di collaborare contemporaneamente con i grandi rivali Rai, Mediaset e Sky. Non sarà che vi dicevano sempre di sì per timore di incorrere nei vostri tormentoni? Risata. Un modo di ammettere di sentirsi temuti e di trovarlo oltremodo divertente. C’è chi, come Walter Nudo, ha ammesso che all’Isola dei famosi li avrebbe presi volentieri a schiaffoni. Chissà quante pedate vorrebbero dispensar loro, se potessero, i sacerdoti dell’arte pedatoria abituati a prendersi non sul serio ma sul serissimo: «Il primo dirigente cui abbiamo proposto Mai dire gol ci disse: “Bello, però scherza con i fanti, ma lascia stare i santi: il calcio in Italia è una religione”. Noi abbiamo aperto la strada, poi sono arrivati Raimondo Vianello, Gioele Dix, Fabio Fazio».
E il pallone è sceso a rimbalzare all’altezza dei comuni mortali, dissacrato a sangue: «I giocatori si sono subito divertiti», racconta Giorgio Gherarducci, pecora “bianca” - dice lui - di una famiglia di sportivi seri ma autoironici: «La Samp di Vialli e Mancini, l’Inter di Zenga e Fontolan ci chiamavano per segnalarci lisci e interviste strampalate. Allenatori e dirigenti la prendevano meno bene».
«Poi però io mi son rotto una gamba e in ospedale ho incontrato Klinsmann, ex calciatore dell’Inter. Quando gli hanno detto che ero Santin della Gialappa’s, m’ha guardato male, anche se sono interista: qualcuno deve avergli spiegato che cos’è una pantegana».
«Il nostro intervento esautorava gli allenatori, andavano negli spogliatoi, cominciavano a parlare e la squadra rideva. A un Trap pre-Gialappa’s non sarebbe mai potuto accadere: era un’istituzione, nessuno avrebbe osato. Giovanni Trapattoni», ammette Santin, «non ce l’ha mandata a dire. Ma è una persona intelligente, piena di saggezza popolare». Chissà se ora ha fatto pace, adesso che il suo fantasmagorico esperanto ha funzionato in tutto il mondo come nessuna lingua paludata saprebbe fare. Forse anche grazie ai monelli “gialappi”.