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mercoledì 23 aprile 2025
 
 

Tedeschi: «Giovani, non perdete la memoria»

16/12/2013  Incontro con il grande attore, in scena al Parenti di Milano con "Farà giorno", e la moglie Marianella Laszlo. Il ricordo degli anni nel lager, il rapporto fra generazioni, la cura degli anziani, la famiglia...

È un’emozione incontrare Gianrico Tedeschi, classe 1920, e ascoltare lui e sua moglie, l’attrice Marianella Laszlo che, con amore e dedizione lo osserva, invitandolo a ricordare alcuni episodi del passato, mentre lui pronuncia ogni frase, guardandola negli occhi come a cercare il suo consenso. Li incontro nel foyer del Teatro Franco Parenti di Milano in cui sono in scena con una novità italiana Farà giorno di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, ma più che una intervista tradizionale diventa una piacevole conversazione a tre su tanti temi come il teatro di ieri e di oggi, sulla loro famiglia con figli e nipoti, sui giovani di oggi, e sull’esperienza di Gianrico durante la guerra e la Resistenza.

Infatti il personaggio di Renato, che interpreta in teatro, è un anziano burbero partigiano, che, costretto a letto in seguito a un incidente, è accudito proprio da Manuel (l’attore Alberto Onofrietti), il ragazzo che lo ha investito, un nazifascista della periferia romana. Fra i due si scatena un incalzante susseguirsi di battibecchi ora ironici ora drammatici. Farà giorno fa anche riflettere sulla condizione degli anziani, lasciati soli dai figli per seguire la propria carriera, come appunto ha fatto la figlia Aurora, interpretata in modo toccante da Marianella Laszlo, che è medico e vive in Africa per aiutare i bisognosi, ma, come commenta Manuel, lascia il padre solo e accudito da estranei. Non mancano i colpi di scena come quando Aurora riappare, dopo 30 anni: padre e figlia si riconciliano dopo gli screzi del passato, mentre Manuel impara a dimostrare maggior attenzione verso gli anziani, scoprendo come sia difficile la vita quotidiana per una persona sola non più autonoma. Manuel si affeziona infatti a Renato, vedendo in lui il padre assente nella sua vita e scopre sentimenti sconosciuti, soffrendo poi per il distacco finale.

Tedeschi, festeggia con questo spettacolo 60 anni di carriera: diplomatosi nel 1947 all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica di Roma, ha affiancato grandi attori e ha visto nascere e svilupparsi il teatro di regia in Italia, lavorando diretto dai più importanti registi, Luchino Visconti, Giorgio Strehler, Luigi Squarzina, Luca Ronconi, cimentandosi anche nella commedia musicale con Garinei & Giovannini, e nell’operetta.

Ha partecipato anche ai grandi sceneggiati televisivi ispirati a romanzi come Delitto e castigo e Demetrio Pianelli.
Ricorda come è nata la sua passione per la recitazione: «Mio papà era appassionato di teatro, infatti tutte le domeniche ci portava a teatro, e io, che avevo sei anni, mi annoiavo da morire, poi una volta mi ha portato al Teatro dal Verme e ho sentito recitare Ermete Zacconi in Spettri di Ibsen. La sua recitazione mi ha talmente impressionato che ho cominciato ad andare volentieri a teatro. Quando, durante la II guerra mondiale, non ho aderito alla Repubblica di Salò, sono stato deportato in un campo di concentramento, insieme ad altri ufficiali. Per sopravvivere ognuno di noi organizzava mostre di pittura, conferenze e io ho pensato di preparare alcuni spettacoli. Avevamo uno o due libri nello zaino, quindi li abbiamo riuniti creando una grande biblioteca e quando ho trovato l’Enrico IV di Pirandello lo ho messo in scena. Solo dopo la guerra mi sono iscritto all’Accademia Silvio D’Amico e ho iniziato a lavorare in teatro anche se, a causa degli anni persi, ero più grande degli altri allievi. Già dal primo anno Silvio D’Amico, presidente dell’Accademia, mi ha scelto per recitare con un grande attore come Ruggero Ruggeri».

Nei campi di detenzione, Tedeschi, oltre a iniziare a recitare per sopportare le sofferenze subite, incontra tanti intellettuali dell’epoca, lo scrittore Giovannino Guareschi, Giuseppe Lazzati, poi diventato rettore dell’Università Cattolica, Alessandro Natta e afferma: «Le generazioni nuove non ricordano il passato, vorrei che i miei nipoti ricordassero il senso di quel periodo in cui si è formata la nostra coscienza politica. Quasi tutti noi militari italiani internati non abbiamo aderito a Salò, nonostante soffrissimo la fame, e arrendersi avrebbe volto dire tornare in Italia e poter mangiare, quindi la tentazione era forte. La fame fa impazzire, si diventa matti: mi ricordo un mio compagno che stava sul letto a castello sopra il mio che grattava una scheggia di legno e la succhiava, dicendo che il legno è nutriente. La fame è una cosa tremenda, non lo può sapere chi non l’ha provata».

Tedeschi conosce bene i giovani, poiché ha due figlie e nipoti, e sta lavorando con un giovane attore, che interpreta anche l’insoddisfazione e la mancanza di valori per i ragazzi di oggi.
Uno fra i veri nipotini di Tedeschi, Leandro, ha sei anni e Marianella racconta con tenerezza che quando ha assistito allo spettacolo: «Quando l’attore che interpreta Manuel ha pronunciato la battuta “ ma non hai qualcuno che si occupa di te? Un figlio, un nipote?” Leandro ha urlato dalla platea “Ci sono io”. Inoltre quando arriva la scena della morte di Renato, interpretato dal nonno, mi aspettavo che si commuovesse, invece no, mentre ha pianto tantissimo alla fine quando Manuel, dopo che Renato è morto, si rivolge a lui immaginando di ritrovarlo nell’aldilà e, dicendogli in romanesco: “Ci ribeccamo”».

Marianella racconta anche come è nato il loro grande amore coronato dalla nascita della figlia Sveva e quante difficoltà hanno superato negli anni:
«Il nostro incontro nel 1968 è stato uno scontro, poiché eravamo entrambi con un matrimonio fallito alle spalle, io ero separata dopo neanche tre anni di matrimonio. Stavamo recitando durante una tournée estiva Le nuvole di Aristotele con la regia di Roberto Guicciardini ed è scoppiata la passione. Gianrico aveva già una figlia adolescente e io avevo un figlio piccolo, quindi abbiamo lottato per creare tutti insieme una nuova famiglia, poi è nata nostra figlia Sveva e ci siamo sposati. Da allora non ci siamo più separati. Anche nostra figlia dopo aver frequentato l’università di Archeologia ad Atene, ha deciso di fare l’attrice ed è diventata molto brava, ma ora ha smesso di recitare per fare la mamma di due splendidi bambini. Infatti quando Sveva era bambina veniva sempre con noi in tournée, ma durante gli anni dell’adolescenza, rimaneva spesso sola perché non poteva perdere la scuola quindi un giorno, mentre passeggiava in piazza Duomo, è stata purtroppo adescata da una setta che la faceva sentire importante, ma io non l’ho lasciata mai, ho interrotto il mio lavoro per due anni, iscrivendomi alla setta per recuperarla perché loro la mettevano contro la famiglia, mentre io standole a fianco e non contrastandola, l’ho aiutata ad uscirne».

Gianrico, che ascolta sua moglie con grande attenzione, interviene e ammette: «Nostra figlia è forte, è riuscita nella vita, io ammiro molto i ragazzi di oggi perché sono spesso soli e non hanno occasioni, ma la maggior parte di loro reagisce. Come dimostriamo anche con il nostro testo vorrei che passasse il messaggio che se un giovane ha di fianco un adulto che lo incoraggia e gli parla, matura come accade a Manuel nello spettacolo, infatti la conoscenza ha un valore educativo. Dal rapporto con le persone anziane si può imparare molto, per esempio Manuel si appassiona alle letture che Renato gli suggerisce: I tre moschettieri e Guerra e pace».

Marianella sorride «Tu comprendi i giovani di oggi, ma con le tue figlie sei sempre stato un po’ come un orso che dà anche le zampate quando occorre, credendo di fare una carezza!».

Dove e quando
FARÀ GIORNO, di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi. Regia di Piero Maccarinelli. Scene e costumi di Paola Comencini. Musiche di Antonio Di Pofi. Con Gianrico Tedeschi, Marianella Laszlo, Alberto Onofrietti. Prod. Artisti Riuniti, ROMA. Fino al 22 dicembre al Teatro Franco Parenti di Milano, Via Pier Lombardo, 14, tel. 0259995206, www.teatrofrancoparenti.it

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