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venerdì 23 maggio 2025
 
L'INTERVENTO
 

Tra teologia e Donnarumma, una vita nel segno del portiere

12/07/2021  Due o tre idee su come vivere al meglio i nostri giorni a partire dal Vangelo, imparando dal calcio. La parata come metafora. La riflessione di don Pino Lorizio, della Pontificia Università Lateranese

Gianluigi Donnarumma, 22 anni, detto Gigio, portiere della Nazionale italiana durante la finale contro l'Inghilterra, domenica 11 luglio (sopra), e nei quarti. contro il Belgio, il 2 luglio (in alto e in copertina). Le fotografie sono dell'agenzia di stampa Ansa.
Gianluigi Donnarumma, 22 anni, detto Gigio, portiere della Nazionale italiana durante la finale contro l'Inghilterra, domenica 11 luglio (sopra), e nei quarti. contro il Belgio, il 2 luglio (in alto e in copertina). Le fotografie sono dell'agenzia di stampa Ansa.

Quell’universo simbolico che è il gioco (homo ludens, scriveva il grande Johan Huizinga) e in particolare quello del calcio, ci consegna miriadi di emozioni, ma anche occasioni di riflessione e di pensiero. In questo senso il ritornello delle “notti magiche”, che si vivono “aspettando un goal”, può legittimamente subire una metamorfosi, visto l’andamento di questi europei: “Notti magiche, aspettando una parata”, quella decisiva. Alla fine, più che di goal, abbiamo avuto bisogno di parate, soprattutto sui rigori e così il portiere diventa il mito/simbolo di un percorso, che ci spinge fuori dai campi di gioco e ci porta nella realtà.

Senza nulla togliere ai difensori, ai centrocampisti e agli attaccanti (fra l’altro il goal nella partita con, non “contro”, come loro pensano, gli inglesi, l’ha realizzato un difensore come Bonucci). E fra il goal e le parate, abbiamo percepito il fecondo incrocio fra il passato e il futuro, fra l’antico e il nuovo. E questo è e sarà vincente.

Fuori metafora: la pandemia ci ha insegnato che più che a far male, attaccare, sconfiggere l’altro, dobbiamo lavorare perché non ci si faccia male. Prima ancora che di frecce al nostro arco, abbiamo bisogno di scudi, ovvero di “reti di protezione”, quali quelle che la medicina si sforza di approntare perché non soccombiamo di fronte a questo attacco improvviso, inatteso e micidiale che è stato ed è il covid. C’è chi non si è difeso abbastanza ed ora sta subendo rimbalzi epidemici che, se non fanno vittime o non determinano ricoveri in terapia intensiva, tuttavia infettano le persone e i gruppi. A fronte di questa aggressività, tendente a sottovalutare l’avversario, c’è chi sa difendere la propria porta, attivando una rete di protezione, quale quella che dobbiamo continuare a sostenere in questo inizio di “estate italiana”.

 

 

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