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Gli piace «il senso di speranza che uno stile così nuovo ha innescato nel Paese». Ma al di là di tutto Francesco Belletti, presidente del Forum delle famiglie, è deluso nel constatare che la parola famiglia è scomparsa dalle priorità. «La prospettiva è che si debbano risolvere i problemi delle persone intese come individui (studenti, lavoratori, professori) e non come membri di un nucleo affettivo».
- «Rammendare la scuola», come dice Renzi, non è politica familiare?
«Certamente, ma anche questa operazione deve tener conto delle relazioni familiari. Non si tratta solo di ridipingere i muri, ma di rafforzare un’alleanza, un sistema di relazioni che coinvolga studenti, docenti e genitori. Invece succede che i genitori scaricano le lacune scolastiche sui professori e questi si trincerano dietro un ruolo tecnico, escludendo i genitori dal progetto educativo. Un esempio? Abbiamo assistito all’entrata di 29 associazioni di rappresentanza delle persone omosessuali all’interno dell’attività scolastica senza una parola di discussione con i genitori della scuola sulle forme e l’opportunità dell’iniziativa. I prof escono dalla classe, lasciano la cattedra ai rappresentanti delle associazioni, che parlano ex cathedra agli studenti per due ore, a loro discrezione, senza il minimo contradditorio, senza che i genitori abbiano ricevuto la minima informazione».
- Le priorità, direbbe Renzi, sono altre. Il tema del lavoro sopra tutti.
«E anche noi siamo d’accordo su questo. L’intervento sulla riduzione del cuneo fiscale è prezioso anche per la vita delle famiglie, perché produce lavoro e reddito. Ma potrebbe essere più selettivo rispetto ai carichi familiari».
- Che cosa prevedeva per le famiglie il programma elettorale di Renzi?
«I cardini delle politiche familiari sono le politiche economiche e sociali e un orizzonte familiare. Ma la famiglia non viene definita uno snodo decisivo per risolvere la crisi. Si dice: sosteniamo l’economia e mettiamo a posto la pubblica amministrazione, poi troveremo le risorse per la famiglia. Il nostro slogan invece è “ripartire dalla famiglia”. Un attore economico autonomo, un motore di sviluppo, non solo un ammortizzatore sociale. Servono sicuramente meno tasse sui figli come chiedeva il Fattore Famiglia».
- Qual è la vostra proposta?
«Il Governo ha una grande opportunità: il Piano nazionale per la famiglia, approvato il 7 giugno 2012 dal Governo Monti, che attende ancora un’esplicita attuazione. Il Piano descrive degli obiettivi: propone la famiglia come soggetto sociale, politico ed economico, individua i carichi fiscali di ciascun nucleo. La famiglia non ha bisogno di politiche assistenziali, ma che vengano rimossi gli ostacoli alla sua azione. Oggi la conciliazione tra padri, madri e lavoro è impedita da vincoli, regole e pregiudizi organizzativi delle aziende. È la famiglia a doversi adattare alle ferree leggi del mercato».
- Il ministro della Famiglia è importante? Nel Governo Renzi non c’è.
«È molto importante. L’esperienza ci dice che in assenza di una responsabilità esplicita la famiglia finisce a piè di lista come preoccupazione».
- L’esperienza dei ministeri passati non pare molto felice.
«Riccardi, Giovanardi e Bindi non avevano portafogli e i loro ministeri avevano fini quasi simbolici. Ma con Letta, che non aveva istituito un ministero e aveva assunto la delega, è andata ancora peggio: c’è sempre qualche urgenza o priorità da anteporre ai bisogni della famiglia. Sarebbe ora di metterla al centro della visione politica di un Governo».
- «Rammendare la scuola», come dice Renzi, non è politica familiare?
«Certamente, ma anche questa operazione deve tener conto delle relazioni familiari. Non si tratta solo di ridipingere i muri, ma di rafforzare un’alleanza, un sistema di relazioni che coinvolga studenti, docenti e genitori. Invece succede che i genitori scaricano le lacune scolastiche sui professori e questi si trincerano dietro un ruolo tecnico, escludendo i genitori dal progetto educativo. Un esempio? Abbiamo assistito all’entrata di 29 associazioni di rappresentanza delle persone omosessuali all’interno dell’attività scolastica senza una parola di discussione con i genitori della scuola sulle forme e l’opportunità dell’iniziativa. I prof escono dalla classe, lasciano la cattedra ai rappresentanti delle associazioni, che parlano ex cathedra agli studenti per due ore, a loro discrezione, senza il minimo contradditorio, senza che i genitori abbiano ricevuto la minima informazione».
- Le priorità, direbbe Renzi, sono altre. Il tema del lavoro sopra tutti.
«E anche noi siamo d’accordo su questo. L’intervento sulla riduzione del cuneo fiscale è prezioso anche per la vita delle famiglie, perché produce lavoro e reddito. Ma potrebbe essere più selettivo rispetto ai carichi familiari».
- Che cosa prevedeva per le famiglie il programma elettorale di Renzi?
«I cardini delle politiche familiari sono le politiche economiche e sociali e un orizzonte familiare. Ma la famiglia non viene definita uno snodo decisivo per risolvere la crisi. Si dice: sosteniamo l’economia e mettiamo a posto la pubblica amministrazione, poi troveremo le risorse per la famiglia. Il nostro slogan invece è “ripartire dalla famiglia”. Un attore economico autonomo, un motore di sviluppo, non solo un ammortizzatore sociale. Servono sicuramente meno tasse sui figli come chiedeva il Fattore Famiglia».
- Qual è la vostra proposta?
«Il Governo ha una grande opportunità: il Piano nazionale per la famiglia, approvato il 7 giugno 2012 dal Governo Monti, che attende ancora un’esplicita attuazione. Il Piano descrive degli obiettivi: propone la famiglia come soggetto sociale, politico ed economico, individua i carichi fiscali di ciascun nucleo. La famiglia non ha bisogno di politiche assistenziali, ma che vengano rimossi gli ostacoli alla sua azione. Oggi la conciliazione tra padri, madri e lavoro è impedita da vincoli, regole e pregiudizi organizzativi delle aziende. È la famiglia a doversi adattare alle ferree leggi del mercato».
- Il ministro della Famiglia è importante? Nel Governo Renzi non c’è.
«È molto importante. L’esperienza ci dice che in assenza di una responsabilità esplicita la famiglia finisce a piè di lista come preoccupazione».
- L’esperienza dei ministeri passati non pare molto felice.
«Riccardi, Giovanardi e Bindi non avevano portafogli e i loro ministeri avevano fini quasi simbolici. Ma con Letta, che non aveva istituito un ministero e aveva assunto la delega, è andata ancora peggio: c’è sempre qualche urgenza o priorità da anteporre ai bisogni della famiglia. Sarebbe ora di metterla al centro della visione politica di un Governo».



