«Per molti il futuro sembra essere nel confronto militare. La guerra sfugge di mano anche a chi la provoca e crede di circoscriverla o indirizzarla, come avviene quando si accende un fuoco. È avvenuto un cambio di paradigma, ormai generalizzato, con la riabilitazione della guerra come strumento politico o di affermazione dei propri interessi».

È l’analisi del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, che lunedì pomeriggio ha aperto a Gorizia – Capitale europea della cultura per il 2025 insieme a Nova Gorica, prima capitale transfrontaliera – i lavori del Consiglio episcopale permanente dei vescovi italiani soffermandosi sulle situazioni di guerra che stanno dilaniando il mondo in questo momento, in particolare Gaza e il Medio Oriente e l’Ucraina. «Non stiamo vivendo solo una crisi dell’ONU», ha detto Zuppi, «siamo nell’età della forza. Addirittura, si teorizza che la guerra sia una compagna naturale della storia dell’uomo, quasi intrinseca alla natura umana da sempre, mentre la pace sarebbe qualche breve e occasionale parentesi, quasi fossimo dominati da un destino da cui è impossibile liberarsi, quello di combatterci e di ucciderci a vicenda».

Zuppi cita papa Francesco che nell’enciclica Fratelli tutti, che è di cinque anni fa, «presentiva il grave scenario degli anni a venire: “La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante”. In quella pagina il Santo Padre espresse una fulminante definizione della guerra, che resta scolpita nella memoria: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. Cinque anni dopo, tali presentimenti si sono purtroppo avverati in pieno», spiega Zuppi, «la guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni persone. Come non pensare a Gaza dove, mentre ancora gli ostaggi israeliani sono prigionieri in condizioni inumane, un’intera popolazione, affamata, bombardata, è costretta a un esodo continuo e con sofferenze drammatiche come ogni esodo. Facciamo nostre le parole di Leone XIV, unendoci alla sua preghiera, sul popolo di Gaza che “continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre” (Udienza generale, 17 settembre 2025). La Chiesa italiana si unisce al suo forte e accorato appello per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Ci domandiamo con inquietudine: cosa possiamo fare di più per la pace?». La risposta che dà Zuppi è molto articolata: «Cessi il rumore delle armi in nome del rispetto per l’inviolabile dignità della persona umana, di ogni persona; siano protetti i civili da ogni forma di violenza fisica, morale e piscologica; sia garantita a ciascuno la libertà di decidere dove e come vivere nel rispetto dell’altro e in fraternità, perseguendo il principio dei due Stati, unica via per dare un futuro al popolo palestinese preso in ostaggio da Hamas e dall’offensiva militare tuttora in corso». A questo proposito, Zuppi ha rilanciato l’appello interreligioso, firmato insieme a Ucei, Ucoii e Coreis, dove viene ribadito: «Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi».

Zuppi ha ribadito che la Chiesa italiana «continuerà ad alleviare la crisi umanitaria e la sofferenza inaccettabile e ingiustificabile con ulteriori iniziative di cui daremo notizia prossimamente. La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità. Avviene in Ucraina, dopo qualche recente speranza di negoziato – che speriamo sia con tenacia e creatività perseguita -, mentre nuove truppe vengono schierate sul terreno e i bombardamenti continuano sistematicamente».

Il presidente della Cei ha anche detto che bisogna «sfuggire alla globalizzazione dell’impotenza, con molta saggezza indicata da Papa Leone, per cui pensiamo non si possa fare nulla. “La globalizzazione dell’impotenza”», ha detto citando Prevost, «“è figlia di una menzogna: che la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”».

Per Zuppi, «il rischio è rimanere intrappolati nella polarizzazione, che non solo fa perdere l’opportunità di vie nuove, ma alimenta ulteriore conflitto: radicalizzazione, chiusura, violenza verbale o fisica, sospensione dell’altro dalla comunità, innalzamento delle barriere emotive e cognitive. La polarizzazione», ha continuato, «si manifesta quando opinioni, identità e appartenenze diventano muri invalicabili: “noi” contro “loro”, amici contro nemici, verità contro menzogna. Il rischio mortale è che ogni interlocutore venga spogliato della sua umanità. Qui inizia l’odio, che poi rende vittime e artefici, allo stesso tempo, se non si combatte per tutti e in ogni situazione. Assistiamo spesso ad un pericoloso scontro continuo e intransigente, dove diventa impossibile immaginare vie alternative: ogni soluzione si irrigidisce, ogni compromesso diventa tradimento. Rimanere intrappolati in questa logica vuol dire rinunciare alla possibilità di una pace creativa, di innovazione morale, di riconoscimento dell’umanità che pulsa nell’altro. Eppure è proprio fuori da quella logica che può nascere qualcosa di nuovo. Quando altre categorie – la compassione, la cura, la vicinanza – vengono rimesse al centro, cessa la fatalità della divisione. Un semplice gesto umano può spezzare la spirale: il perdono, l’abbraccio, il riconoscimento del dolore altrui».



Il presidente della Cei si è soffermato a lungo sulla scelta di svolgere il Consiglio episcopale, che andrà avanti fino al 24 settembre, a Gorizia e Nova Gorica, prima divise dalla storia e ora riunificate come Capitali della cultura del 2025: «Niente del passato va perduto e nessun confine è invalicabile. “Tutto può cambiare, dipende anche da noi”», ha detto citando Giovanni Paolo II nella sua visita pastorale nel 1992, e riferendosi la Veglia di preghiera per la pace che si svolgerà martedì sera in piazza Transalpina.

Nel suo discorso, il cardinale ha sottolineato che «quella storia di sofferenza si è chiusa, anche se ha sempre bisogno di curare le ferite profonde e tutti dobbiamo imparare a non vivere contro o senza gli altri, ma insieme: fratelli tutti», come hanno fatto Slovenia e Italia, che «hanno scelto da anni la cooperazione e questo è il frutto! E lo hanno scelto in un quadro europeo. L’Europa unita ha reso possibile molte cose, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa (che pure si erano combattuti) e del mondo», l’analisi di Zuppi: «Questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie. Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace», l’appello del presidente della Cei: «Anzi – come ha affermato recentemente il presidente Mattarella – il mondo ha bisogno dell’Europa. Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. E per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo. E l’Europa deve esistere di più, anche se la insidiano e la indeboliscono i nazionalismi e i sovranismi e una leadership compless<», ha affermato Zuppi, secondo il quale «l’incertezza dei rapporti con l’Alleato americano di sempre e la condizione creata dall’invasione russa in Ucraina la pongono in una situazione totalmente nuova, che richiede soluzioni unitarie perché siano efficaci».

Zuppi ha invitato «come Chiesa italiana e come Chiese europee», a «portare il nostro sostegno al Continente, per un suo consolidamento come realtà di democrazia, pace e libertà, per la difesa della persona umana in un mondo che appare tanto in movimento. Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui, ma è la vocazione dell’Italia, dell’Europa e di ogni società umana degna di questo nome», ha sottolineato, «e non bisogna riprendere il sogno di Giovanni Paolo II perché respiri pienamente a due polmoni, fino agli Urali? E non dobbiamo dare anima all’Europa e difenderne i valori fondativi con una nuova Camaldoli? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?», si è chiesto Zuppi, «il Giubileo ricordi che quanti si fanno operatori di pace saranno chiamati figli di Dio. L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura. Certo, la realtà del mondo così imprevedibile, i conflitti, lo scuotimento di riferimenti storici generano un diffuso disorientamento», ha ammesso il presidente della Cei, «C’è una diffusa paura del futuro, anche perché molta gente vive sola e il nostro è spesso un popolo di soli, con lo sfaldamento della famiglia e del tessuto comunitario. La paura del futuro rinchiude nel presente e nella sua difesa. Anche il problema del calo demografico è espressione di questa paura, di concentrazione sul proprio io, di mancanza di speranza nel domani».

Il cardinale Zuppi è intervenuto anche su altri temi, a cominciare dal fine vita, per ribadire che la Chiesa difende la vita «dal suo inizio alla fine», e al contempo «riaffermare quanto dichiarato in passato, l'auspicio, cioè», ha detto, «che si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l'accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza. Ribadiamo, peraltro, che la legge sulle cure palliative non ha trovato ancora completa attuazione: queste devono essere garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione perché sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso».

Dopo il Giubileo, la Chiesa italiana ha un compito, quello di «guardare con uno sguardo missionario il futuro del nostro Paese», ha detto Zuppi, «In questa società disarticolata c’è da ritessere la fraternità, secondo quelle indicazioni che Papa Francesco ci ha offerto nella Fratelli tutti» e a questo proposito ha citato gli ultimi passi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, il cui testo finale, riformulato, sarà votato il 25 ottobre dalla terza Assemblea sinodale per essere poi presentato ai vescovi riuniti nell’Assemblea generale in programma ad Assisi dal 17 al 20 novembre

. «Di fronte alle fatiche incontrate nella seconda Assemblea, abbiamo voluto dare e prenderci tempo per far maturare in modo opportuno un testo che fosse davvero espressione fedele del percorso compiuto», ha puntualizzato Zuppi a proposito dello spostamento dell’Assemblea generale da maggio a novembre. «Accogliere, discernere e concretizzare quanto ci verrà consegnato dall’Assemblea sinodale», i prossimi passi: «Avremo davanti a noi la sfida di individuare le priorità e conseguentemente gli strumenti adatti per tradurre queste priorità, affinché le nostre Chiese diventino sempre più missionarie e comunionali. La sinodalità non finisce, ma deve diventare uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e profetiche. La sinodalità ha bisogno di tutti, di una collegialità partecipe e lungimirante e di ascoltare sempre il primato di colui che presiede nella comunione».

Il presidente della Cei si è soffermato anche sul recente Giubileo dei giovani, con 1 milione di ragazzi da tutto il mondo arrivati a Tor Vergata per l’incontro con papa Leone: «È stata l’ennesima prova – se ve ne fosse ancora bisogno – della vitalità dei giovani e del loro desiderio di spiritualità, di interiorità, di comunione e di Chiesa», ha detto, «se le analisi spesso puntano sulla diminuzione della partecipazione alle celebrazioni, delle vocazioni presbiterali e religiose o dei matrimoni religiosi, dobbiamo anche riconoscere che la sete di esperienze di fede nei giovani non si è estinta. Semmai si tratta da parte nostra di intercettare questi desideri, di accoglierli e di farli incontrare con l’annuncio evangelico». Il cardinale ha poi ricordato «le recenti canonizzazioni di San Piergiorgio Frassati e di Carlo Acutis, così partecipate dai fedeli», e che «hanno mostrato come esista questa domanda di futuro, di una vita carica di senso e di entusiasmo. Queste due figure di giovani, vissuti in tempi differenti, ci invitano a rivolgere, con i giovani, lo sguardo verso il futuro con speranza. Le loro sono storie diverse, ma entrambi sono vissute in una comunità di fede: le associazioni ecclesiali per Frassati, per Acutis la famiglia e la parrocchia. Perché c’è bisogno di una rinascita della Chiesa come comunità, che generi santità e speranza per il futuro; comunità che non siano aziende, ma famiglia di coloro che ‘ascoltano e mettono in pratica la Parola’, annunciando la fede nel Cristo risorto e nella vita eterna».