A dare la notizia nella tarda serata di lunedì è stata l’agenzia Reuters ma per ora non c’è nessuna conferma ufficiale del rapimento di padre Paolo Dall’Oglio, missionario gesuita, da parte di un gruppo di miliziani legati ad al Qaeda in Iraq nella città siriana di Raqqa, controllata dalle forze ribelli.
«Sono notizie che lasciano perplessi, da prendere con le molle», ha detto all'Ansa una fonte diplomatica che segue la vicenda. «Ovviamente», ha spiegato, «continuiamo a raccogliere informazioni attraverso tutti i nostri canali per far luce sulla vicenda», ha aggiunto sottolineando però un’anomalia, e cioè il fatto che questa sarebbe la prima volta che il religioso italiano si reca in Siria senza preavvertire diplomatici italiani o la nunziatura apostolica a Damasco, come aveva invece fatto in occasione di altre visite compiute negli ultimi mesi nella parte del territorio sotto il controllo dei ribelli nel nord del Paese.
«In quelle occasioni ci dava notizie dei suoi spostamenti», ha spiegato il diplomatico, «mentre questa volta c'è stato un silenzio assoluto».
Dall'Oglio è conosciuto per essere contrario al regime di Damasco, tanto che lo scorso anno era stato espulso dal Paese dove viveva da 30 anni. Secondo fonti dell'opposizione citate dall'agenzia Reuters, il gruppo che lo ha sequestrato si chiama “Stato Islamico dell'Iraq e del Levante” e avrebbe rapito il sacerdote mentre camminava per le strade di Raqqa, nel nord della Siria. Si tratta di un’organizzazine presentata ufficialmente come organizzazione unitaria su Internet lo scorso aprile dal capo dello Stato Islamico dell'Iraq, Abu Bakr al-Baghdadi, il quale aveva detto che il suo gruppo in Iraq – dichiaratamente collegato con l'organizzazione terrorista di al-Qaida – ha addestrato e finanziato i combattenti del Fronte al-Nusra in Siria (già nella lista nera degli Stati Uniti) fin dall'inizio della rivolta, due anni fa, in Siria. Al-Baghdadi, in una delle dichiarazioni postate su siti web islamici, aveva affermato che i due gruppi intendono operare sotto un solo nome, quello appunto di «Stato Islamico dell'Iraq e del Levante»
Di sicuro, al momento, ci sono solo due cose: la prima è che padre Dall'Oglio non risponde ai suoi recapiti telefonici, né a quello siriano, dove una voce registrata dice che «l'apparecchio è al momento spento», né a quello italiano, che non dà alcun segnale.
La seconda è che il missionario è effettivamente arrivato nella città di Raqqa sabato scorso, 27 luglio. È stato lui stesso a scriverlo sulla sua pagina Facebook il giorno del suo arrivo, senza però chiarire cosa fosse andato a fare in quest'area controllata in gran parte da milizie fondamentaliste.
«Pregate per me, perché abbia una buona fortuna in questa missione per la quale sono venuto qui», si legge. Poi continua: «Sono arrivato oggi (il 27 luglio, ndr) a Raqqa e sono contento per due ragioni: sono sul territorio siriano in una città liberata e sono stato bene accolto. La gente nelle strade si sente libera e questa è l'immagine della madre patria che auspichiamo per tutti i siriani. Ovviamente nulla è ancora completato, ma l'inizio è buono».
L'ultimo contatto con il missionario lo ha avuto via email venerdì scorso, 26 luglio, Lorenzo Fazzini, direttore della bolognese Emi (Editrice Missionaria Italia) per concordare i ritocchi conclusivi al libro di Dall'Oglio in uscita il prossimo settembre: La collera e la luce. Un prete cattolico nella rivoluzione siriana.
«Mi ha scritto: "Ora rientrerò in Siria. La settimana prossima il mio numero di telefono cambierà e ve lo darò, a Dio piacendo», racconta Fazzini . «Negli ultimi tempi lo sentivo un giorno sì e uno no», spiega, «e ogni volta mi diceva dove si trovava. Lui, in particolare, vagava tra l'Iraq e il Kurdistan della Turchia, e ogni tanto faceva sortite anonime in Siria, dove aveva ancora contatti»«Negli ultimi tempi lo sentivo un giorno sì e uno no», aggiunge, « e ogni volta mi diceva dove si trovava. Lui, in particolare, vagava tra l'Iraq e il Kurdistan della Turchia, e ogni tanto faceva sortite anonime in Siria, dove aveva ancora contatti».
Nel Paese ora insanguinato dalla guerra civile, Dall'Oglio, romano, 58 anni, fondatore del monastero Deir Mar Musa, a nord di Damasco, ci aveva vissuto 30 anni, prima dell'espulsione decretatagliil 12 giugno dell'anno scorso dal regime dopo aver preso posizione a favore del piano di pace dell'allora inviato speciale Onu per la Siria, Kofi Annan. E ora, schierato apertamente contro Assad, Dall'Oglio cercava di dare il suo contributo a una soluzione pacifica al conflitto.
Entrato nella Compagnia di Gesù nel 1975, è stato novizio in Italia, prima di intraprendere gli studi universitari a Beirut.
Nel 1982 aveva scoperto i ruderi del monastero cattolico siriaco Mar Musa, costruito nell'XI secolo attorno a un antico romitorio occupato nel VI secolo da San Mosè l'Etiope, e vi si era insediato per un ritiro spirituale. Nel 1984, Dall'Oglio era stato ordinato sacerdote del rito siriaco cattolico e aveva deciso di ricostruire le mura del monastero. Nel 1992 vi aveva fondato una comunità spirituale ecumenica mista, al-Khalil, che promuove il dialogo islamico-cristiano. Un amico del missionario però mette in dubbio la tese del sequestro.
«È sicuramente accaduto qualcosa ma non è certo che si tratti di un rapimento», ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre. Secondo questa fonte – che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonima – padre Dall'Oglio doveva incontrarsi con alcuni membri del gruppo affiliato ad al-Qaeda per negoziare la liberazione di un membro di un gruppo dell'opposizione, amico del religioso italiano. «Il silenzio di padre Paolo potrebbe essere legato ai tempi e alle modalità della contrattazione e non ad un sequestro. In ogni caso la situazione non è ancora chiara», continua la fonte. Al gesuita, che si troverebbe in Siria da sabato scorso, potrebbe dunque non essere concesso avere contatti con l'esterno durante la mediazione per la liberazione dell'ostaggio.
Ed è un mistero, sempre in Siria, le sorti di un altro italiano, Domenico Quirico, l'inviato de La Stampa scomparso in Siria dal 9 aprile scorso e su cui è calato il silenzio.
Il 6 giugno, in una breve telefonata alla moglie, Quirico aveva detto di «stare bene»: la prova che è ancora vivo. A fine giugno, il 27, è arrivata anche la conferma del ministro degli Esteri Emma Bonino.
Una buona notizia che aveva fatto scongiurare il peggio in un momento in cui erano molto forti i timori per la sorte dell’inviato. Dopo quella breve telefonata, però, si sono persi di nuovo i contatti. «Continuano tutte le ricerche con i canali diplomatici ufficiali, i servizi e i contatti con i vari gruppi» in Siria, aveva confermato Emma Bonino. La situazione è piuttosto complicata e per la sua soluzione è necessaria la massima riservatezza. La conferma da parte del ministro degli Esteri, che l’inviato “è in vita”, permette di far sperare sul suo rilascio e sul ritorno a casa.