(Foto Ansa)
Trentatré anni di carcere e 148 frustate, per una serie di reati, in tutto sette, che vanno dall'incitamento alla corruzione e alla prostituzione alla collusione contro la sicurezza nazionale, la propaganda contro lo Stato, il disturubo dell'opinione pubblica, fino all'aver commesso atti peccaminosi mostrandosi in pubblico senza il velo. L'Iran ha confermato in via definitiva in appello la condanna per Nasrin Sotoudeh, famosa avvocatessa e attivista per i diritti umani, che si è battuta per difendere, fra l'altro, le donne che protestavano contro l'obbligo di indossare l'hijab, il velo islamico, una norma introdotta dalla rivoluzione di Khomeini del 1979 che ha trasformato l'Iran in una Repubblica islamica.
Una pena particolarmente dura, la più severa che Teheran abbia mai comminato nei confronti di un attivista per i diritti umani: un chiaro avvertimento da parte delle autorità nei confronti di chi all'interno del Paese ha il coraggio di schierarsi dalla parte della giustizia sfidando il sistema. Il marito dell'avvocatessa, Reza Khandan, ha precisato che la moglie non farà ricorso contro la sentenza e che la pena da scontare sarò quella comminata per il reato più grave (12 anni di detenzione). La Sotoudeh, 55 anni, Premio Sakharov del Parlamento europeo nel 2012, è già rinchiusa nel carcere di Evin, a Teheran, da dieci mesi: il 13 giugno del 2018 è stata arrestata dopo aver assunto la difesa di un'attivista, Shaparak Shajarizadeh, e di altre donne che come lei erano scese in strada e avevano protestato pacificamente contro il velo obbligatorio togliendolo dal capo e sventolandolo dopo averlo fissato a un bastoncino.
Per la liberazione della nota e coraggiosa avvocatessa si è schierata, fra gli altri, Amnesty International, che ha lanciato una campagna di raccolta di firme. Come spiega Amnesty, le proteste pacifiche delle donne iraniane contro l'obbligo dell'hijab sono iniziate a dicembre del 2017 con il primo gesto di un'attivista, Vida Movahedi - arrestata lo scorso ottobre e di recente condannata a un anno di reclusione -, seguito poi da molte altre donne. Da allora, sottolinea l'organizzazione, più di 35 donne sono state aggredite o arrestate per aver preso parte alle manifestazioni.
Contro l'obbligo del velo nel 2014 una giornalista, Masih Alinejad, ora residente gli Usa, ha lanciato un movimento femminile, My stealthy freedom, (la mia libertà furtiva) che, soprattutto attraverso la Rete, incoraggia le donne a togliersi il velo in un luogo pubblico e a postare sui social l'immagine del loro gesto. Pochi giorni Yasaman Ariyaee, 23 anni, attivista del movimento, è stata arrestata con sua madre per aver postato un suo video lo scorso 8 marzo, festa della donna.
Nasrin Sotoudeh è una dei sette avvocati e difensori dei diritti umani che in Iran sono finiti in carcere nell'ultimo anno. La comunità internazionale e molte Ong si sono mobilitate contro questa situazione. Anche all'interno dell'Iran si sono levate voci coraggiose a sostegno della Sotodudeh: come quelle di sedici giuristi che, lo scorso marzo, hanno pubblicato una lettera aperta rivolta al popolo iraniano chiedendo che la sentenza di condanna venga annullata e che l'attivista venga restituita alla libertà. Ma, ad oggi, le autorità di Teheran restano sorde a qualunque appello.