«Tunisi è come Parigi. Vorrei che questo fosse chiaro a tutti: l'attentato che ha colpito il cuore della capitale tunisina è come quello che ha colpito la capitale francese poco tempo fa. Vorrei che la marcia che in tante città ha portato la gente in piazza contro il terrorismo dopo l'attacco a Charlie Hebdo si ripetesse anche per l'attentato al Museo del Bardo di Tunisi». E' l'appello agli italiani, all'Europa, all'Occidente di Ouejdane Mejri, tunisina, 38 anni, arrivata in Italia più di vent'anni fa, docente di Informatica al Politecnico di Milano, presidente dell'associazione Pontes che riunisce i tunisini in Italia e autrice con Afef Hagi del libro La rivolta dei dittatoriati (del 2013). La prossima settimana Ouejdane sarà a Tunisi per il World social forum, che già si era tenuto nella capitale tunisina due anni fa. «L'evento è stato confermato. Se lo avessimo cancellato o posticipato avrebbe significato darla vinta ai terroristi, fare il loro gioco».
Com'è la situazione politica attuale in Tunisia?
«Nel 2014 in Tunisia ci sono state due elezioni distinte a suffragio universale, le parlamentari e le presidenziali. Al Parlamento ha vinto il partito secolare Nidaa Tounes, che però non aveva una maggioranza schiacciante per governare. La grande sorpresa è stato l'allargamento della coalizione agli islamisti di Ennahda. Ma si tratta comunque di un bel segno di democrazia: è dimostrazione che c'è una volontà di costruire insieme la stabilità politica. Dal 2011 assistiamo a un processo democratico, segnato dalla nascita del multipartitismo, della società civile libera e attiva, chiamata a partecipare alla costruzione della realtà democratica. L'impegno della società civile è parte fondamentale della democrazia: i tunisini hanno capito che restare fuori dalla discussione politica vuol dire dittatura. Purtroppo il grande problema della Tunisia è la grave difficoltà economica. La Tunisia è un mercato molto piccolo, vive essenzialmente di turismo. Il più grande fornitore di lavoro è lo Stato. La mancanza di crescita economica porta grande sofferenza e ostacola il percorso democratico, la stabilità politica. Nel mio Paese c'è tanta povertà diffusa. Oggi, poi, ci preoccupa il tasso elevatissimo di suicidi fra i giovani: un fenomeno cresciuto in questi ultimi anni».
La povertà e la disoccupazione sono terreno fertile per il fondamentalismo.
«Questo discorso è stato valido fino a un certo punto e in certi contesti. La frustrazione economica non porta all'estremismo religioso, porta alla violenza. La marginalizzazione sociale ed economica è terreno fertile per le manifestazioni violente e gli estremismi. Dobbiamo ricordare che i giovani che da vari Paesi, come la Tunisia, erano partiti per la Siria, all'inizio del conflitto, lo avevano fatto con lo scopo di combattere contro la dittatura di Assad, non erano mossi da motivazioni religiose. Invece si sono poi ritrovati a uccidere altri musulmani. Tanti giovani tunisini che sono riusciti a fuggire dall'Isis e a tornare a casa hanno raccontato esperienze sconvolgenti».
Perché, secondo te, i terroristi hanno colpito Tunisi?
«Il giorno prima dell'attacco di Tunisi un tweet dell'Isis presente nel Nord Africa annunciava in arabo "una bella notizia per i musulmani e una brutta notizia per gli impostori della Tunisia, in particolare coloro che sono portatori di cultura". Gli estremisti dello Stato islamico vedono il loro nemico nella cultura, che non è solo quella occidentale. Hanno colpito il Museo del Bardo come simbolo della cultura, indipendentemente da chi ci fosse dentro, turisti, persone straniere o tunisine. Bisogna capire, allora, che non si tratta di uno scontro tra cristiani e musulmani, tra Occidente e Oriente, bensì tra la libertà e il terrore. La stragrande maggioranza dei tunisini è sgomenta, indignata. A Tunisi e anche in altre città subito dopo l'attentato tantissimi cittadini sono scesi in piazza per manifestare contro il terrorismo. Proprio come a Parigi, a Tunisi è stata attaccata la democrazia».
In "La rivolta dei dittatoriati" tu e Afef Hagi avete raccontato il sofferto cammino di coloro che sono nati e cresciuti sotto la dittatura e che ora si stanno ribellando ad essa.
«Sì, noi tunisini non dobbiamo assolutamente tornare indietro, tornare a essere sottomessi alla dittatura, non possiamo permetterlo. Dobbiamo proseguire il cammino di cittadini democratici e abbiamo bisogno che il mondo creda in questo nostro percorso».
La prossima settimana sarai a Tunisi al World social forum.
«A Tunisi parleremo di cittadinanza e democrazia transnazionale, del nostro essere cittadini che superano le frontiere, portatori di libertà».