Nel padovano c’è il San Precario. Detta così sembra una goliardata. Invece, nella terra di Sant’Antonio nel 2007 è nata una polisportiva arrivata in seconda categoria la cui mission è aiutare tramite il calcio, sensibilizzare su temi sociali. «E’ un santo immaginario, senza parrocchia, diciamo noi», spiega il presidente Roberto Mastellari, 54 anni, titolare di una copisteria a Padova. «Ci occupiamo di immigrazione e lo facciamo con la campagna “Gioco anch’io”. Due anni fa, abbiamo fatto cambiare idea alla Figc veneta, che consentiva il tesseramento di un solo straniero, fra quanti sono nati all’estero oppure vengono da federazione straniera, e così abbiamo potuto tesserare due fratelli albanesi. Ci occupiamo di antirazzismo e antisessismo, secondo il motto “No one is illegal”. Giochiamo al vecchio stadio Appiani, lì ci accompagna lo striscione “Padova accoglie”. E anche “Refugees welcome”, benvenuti rifugiati».
E’ una bella suggestione, nell’impianto che sino a 20 anni fa ospitava i biancoscudati, prima del varo dell’Euganeo. All’Appiani il Padova di Nereo Rocco raggiunse l’apice, con il terzo posto nel ’57-’58 e il famoso catenaccio, ovvero la difesa a oltranza orchestrata da Scagnellato, e le giocate dello svedese Kurt Hamrin e del poderoso centravanti Brighenti. Oggi l’attenzione non è tanto per il pallone ma fuori, con la campagna "Palla al piede”. Per far giocare a calcio detenuti del carcere di Padova, iscritti al campionato di terza categoria. Giocano all’interno del Due Palazzi, da un anno. Al 90% sono stranieri e quell’idea è in compartecipazione con la Nairi Onlus, operante nell’ambito dei diritti umani, con il progetto “Rimettiamoci in gioco”.
Non sono tante in Italia le squadre formate da persone che ancora devono scontare una pena. A Padova mirano a creare una polisportiva per detenuti, con anche basket e volley, sezioni già attive nella “San Pre”. Che peraltro ora esce dallo stesso progetto con il penitenziario, per concentrarsi sulle proprie attività. I biancogranata sono stati ripescati in seconda, dopo avere perso una semifinale e una finale playoff. Di recente c’è stata una gara di coppa veneta, contro la Sacra Famiglia, altro nome di calcio diverso. “Quella è espressione di un rione e di una parrocchia di Padova”. Sul sito della società, le cronache delle partite sono affidate a Leo (Leonardo) Pilla, 30 anni, segretario e anche giocatore, e ogni volta che si verifica una tragedia di migranti, in mare, la riflessione inizia da lì. Pilla, di professione infermiere all’ospedale civile di Padova, sintetizza il pensiero della San Precario. «La parte “civile”, la vecchia Europa, guarda, inerme, incapace di organizzarsi e di unirsi per affrontare determinate priorità. E’ una strage continua di esseri umani, che ci riporta indietro di qualche secolo. Il pensiero ricorrente è di sentirsi inutili, o quantomeno inadeguati, di fronte a tali fatti sconcertanti. Il sentimento dominante è di costernazione».
La matrice politica del San Pre è assortita. «Pensiamo a un’idea di sport inclusiva», spiega Pilla, «slegata dalle tradizionali logiche di competizioni per vincere a tutti i costi. Siamo una polisportiva antirazzista». E per questo mira a inserire anche un portiere malese di 20 anni, Madi, che si allena con il San Precario. «Non ha la residenza italiana, perciò la Figc non permette di tesserarlo. Studia, al pari di tanti ragazzi che salgono dal Sud e poi vengono a giocare con noi».
L’allenatore Franco Cerilli è stato vicecampione d’Italia con il Vicenza, nel ’79. Veneziano, di Chioggia, Cerilli era un centrocampista mancino, arrivato anche all’Inter, da calciatore. Prende l’avventura molto sul serio, ma sul piano sportivo. «Rispetto le loro idee, quando uno fa il sociale merita sempre approvazione, però io sono venuto qui come un uomo di calcio, per allenare. Mi mancava il profumo dell’erba, provare un divertimento di cui sento ancora il bisogno, da quando avevo 10 anni. A Chioggia ho una scuola calcio, è gratificante vedere bimbi di 5-7 anni imparare a giocare, specialmente chi è portato, però la partita è un’altra cosa». Anche a livello quasi amatoriale. A 62 anni, Cerilli è in pensione. «Mi godo le nipoti», Giorgia (9 anni) e Virginia (6). E anche loro, crescendo, diventeranno tifose dei ragazzi del San Precario e di questo progetto esemplare.