PHOTO
Prima della messa si era affacciato a sorpresa in piazza San Pietro per salutare quanti avevano preso posto tra le transenne. Papa Leone ha dato il benvenuto a quanti partecipano al Giubileo dei poveri, ma che non sono riusciti a entrare in basilica. A loro ha ricordato la frase del Vangelo «che tutti conosciamo: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli”. Noi tutti vogliamo essere fra i poveri del Signore», spiega. E ha aggiunto che «la nostra vita è un dono di Dio e lo riceviamo con tanta gratitudine». Poi ha ringraziato «per la vostra presenza» e ha spiegato che «la Basilica oggi diventa un po’ piccola». Ma anche stando in piazza «voi fate parte della Chiesa e potete seguire la Santa Messa anche negli schermi. Partecipate con molto amore e con molta fede», ha esortato parlando in piedi dal sagrato, «e sappiate che siamo tutti uniti in Cristo. Allora noi celebriamo l’Eucaristia», ha concluso dando l’appuntamento per «l’Angelus qui in piazza».
La sua omelia, poi, giunge come una carezza per i 12mila che partecipano alla celebrazione. Spiega la profezia di Malachia in cui, tra distruzioni, carestie e pestilenze, si intravede «l’arrivo del “giorno del Signore” l’ingresso nel tempo nuovo». Un tempo di Dio in cui «come un’alba che fa sorgere un sole di giustizia, le speranze dei poveri e degli umili riceveranno dal Signore una risposta ultima e definitiva e verrà sradicata, bruciata come paglia, l’opera degli empi e della loro ingiustizia, soprattutto a danno degli indifesi e dei poveri». Questo sole, spiega Leone, «è Gesù stesso». È Lui «la signoria di Dio che si rende presente e si fa spazio negli accadimenti drammatici della storia». Per questo gli eventi apocalittici non devono spaventare «il discepolo, ma renderlo ancora più perseverante nella testimonianza e consapevole che sempre viva e fedele è la promessa di Gesù: “Neppure un capello del capo perirà”».
È Gesù la speranza «a cui siamo ancorati, pur dentro le vicende non sempre liete della vita». Le persecuzioni non sono finite, ma neanche le consolazioni di Dio. «E», aggiunge Leone, «dove sembrano esaurirsi tutte le speranze umane, si fa ancora più salda l’unica certezza, più stabile del cielo e della terra, che il Signore non farà perire neanche uno dei capelli del nostro capo». Il Pontefice insiste nel sottolineare che «nelle persecuzioni, nelle sofferenze, nelle fatiche e nelle oppressioni della vita e della società, Dio non ci lascia soli. Egli si manifesta come Colui che prende posizione per noi. Tutta la Scrittura è attraversata da questo filo rosso che narra un Dio che è sempre dalla parte del più piccolo, dalla parte dell’orfano, dello straniero e della vedova». Attraverso Gesù «la vicinanza di Dio raggiunge il vertice dell’amore: per questo la presenza e la parola di Cristo diventa giubilo e giubileo per i più poveri, essendo Egli venuto per annunciare ai poveri il lieto annuncio e predicare l’anno di grazia del Signore».
Un anno «di grazia» di cui «partecipiamo in modo speciale ancora noi, proprio oggi, mentre celebriamo, con questa Giornata mondiale, il Giubileo dei poveri. Tutta la Chiesa esulta e gioisce, e in primo luogo a voi, cari fratelli e sorelle, desidero trasmettere con forza le parole irrevocabili dello stesso Signore Gesù: “Dilexi te - Io ti ho amato”. Sì, a fronte della nostra piccolezza e povertà, Dio ci guarda come nessun altro e ci ama di amore eterno. E la sua Chiesa, ancora oggi, forse soprattutto in questo nostro tempo ancora ferito da vecchie e nuove povertà, vuole essere “madre dei poveri, luogo di accoglienza e di giustizia”».
Il Papa non nasconde le tante «povertà che opprimono il nostro mondo! Sono anzitutto povertà materiali, ma vi sono anche tante situazioni morali e spirituali, che spesso riguardano soprattutto i più giovani. E il dramma che in modo trasversale le attraversa tutte è la solitudine. Essa ci sfida a guardare alla povertà in modo integrale, perché certamente occorre a volte rispondere ai bisogni urgenti, ma più in generale è una cultura dell’attenzione quella che dobbiamo sviluppare, proprio per rompere il muro della solitudine».
Bisogna stare «attenti all’altro, a ciascuno, lì dove siamo, lì dove viviamo, trasmettendo questo atteggiamento già in famiglia, per viverlo concretamente nei luoghi di lavoro e di studio, nelle diverse comunità, nel mondo digitale, dovunque, spingendoci fino ai margini e diventando testimoni della tenerezza di Dio».
Parla degli «scenari di guerra, presenti purtroppo in diverse regioni nel mondo» che «sembrano confermarci in uno stato di impotenza. Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il Vangelo, invece, ci dice che proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci. E noi, comunità cristiana, dobbiamo essere oggi, in mezzo ai poveri, segno vivo di questa salvezza».
Leone spiega che «la povertà interpella i cristiani, ma interpella anche tutti coloro che nella società hanno ruoli di responsabilità. Esorto perciò i Capi degli Stati e i Responsabili delle Nazioni ad ascoltare il grido dei più poveri. Non ci potrà essere pace senza giustizia e i poveri ce lo ricordano in tanti modi, con il loro migrare come pure con il loro grido tante volte soffocato dal mito del benessere e del progresso che non tiene conto di tutti, e anzi dimentica molte creature lasciandole al loro destino».
Si rivolge, per ringraziarli, «agli operatori della carità, ai tanti volontari, a quanti si occupano di alleviare le condizioni dei più poveri» e li incoraggia «ad essere sempre più coscienza critica nella società. Voi sapete bene che la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede, che per noi essi sono la stessa carne di Cristo e non solo una categoria sociologica». Richiama quanto ha scritto nella Dilexit te: «La Chiesa come una madre cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli: dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti».
Allora, in attesa del «ritorno glorioso del Signore non dobbiamo vivere una vita ripiegata su noi stessi e in un intimismo religioso che si traduce nel disimpegno nei confronti degli altri e della storia. Al contrario, cercare il Regno Dio implica il desiderio di trasformare la convivenza umana in uno spazio di fraternità e di dignità per tutti, nessuno escluso. È sempre dietro l’angolo il pericolo di vivere come dei viaggiatori distratti, noncuranti della meta finale e disinteressati verso quanti condividono con noi il cammino».
Propone, come esempio, «la figura di San Benedetto Giuseppe Labre, che con la sua vita di “vagabondo di Dio” ha le caratteristiche per essere patrono di tutti i poveri senzatetto. La Vergine Maria, che nel Magnificat continua a ricordarci le scelte di Dio e si fa voce di chi non ha voce, ci aiuti ad entrare nella nuova logica del Regno, perché nella nostra vita di cristiani sia sempre presente l’amore di Dio che accoglie, perdona, fascia le ferite, consola e risana».



