dalla nostra inviata a Beirut

Conclude la giornata pubblica con una grande festa nel piazzale antistante il patriarcato di Antiochia dei maroniti, a Bkerké. Un bagno di folla di giovani, circa 15 mila, che accolgono papa Leone con gioia. Abbracciando e sentendosi abbracciati. In un momento di grande crisi anche la sola presenza del Papa porta speranza. Lo sottolinea il cardinale Béchara Boutros Raï che, nel salutare Leone, lo chiama «Papa della vicinanza, Papa dell'ascolto e della misericordia, il Papa della pace, che ricorda al mondo che la luce è sempre più forte delle tenebre e che la voce della Chiesa sarà sempre una voce di speranza e non di paura, una voce di pace e non di violenza».

I ragazzi e le ragazze portano a Prevost i ruderi della chiesa greco-cattolica di san Giorgio, a Derdghaya, un piccolo villaggio a est di Tiro, nel sud del Libano, bombardata da Israele nell’ottobre del 2024, ma che i ragazzi si impegnano a ricostruire.

E ancora, tra i doni, anche i frammenti di una montagna, un cedro, per chiedere di crescere forti come lui, un passaporto per chiedere di non essere costretti a partire, un Bambinello, perché il Signore aiuti a diventare come Lui, operatori di pace.

Un momento dell'incontro
Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

(REUTERS)

Leone li saluta in arabo, “assalamu lakum!” (la pace sia con voi!), accolto dagli applausi. «Il saluto di Gesù risorto» spiega subito, «che sostiene la gioia del nostro incontro: l’entusiasmo che sentiamo nel cuore esprime l’amorevole vicinanza di Dio, che ci riunisce come fratelli e sorelle per condividere la fede in Lui e la comunione fra di noi». Saluta, in particolare i giovani provenienti dalla Siria e dall’Iraq, e i libanesi tornati in patria da vari Paesi. Siamo radunati qui per ascoltarci gli uni gli altri, io per primo, chiedendo al Signore di ispirare le nostre scelte future». Loda Anthony e Maria, Elie e Joelle che hanno condiviso i loro racconti parlando di «coraggio nella sofferenza, di speranza nella delusione, di pace interiore nella guerra». Parole che si sono concretizzate nel cucinare assieme, soccorrersi, seppellire i morti, aiutare i feriti quando la guerra ha distrutto case e villaggi.

Ricorda che «la storia del Libano è intessuta di pagine gloriose, ma è segnata anche da ferite profonde, che stentano a rimarginarsi. Queste ferite hanno cause che travalicano i confini nazionali e si intrecciano con dinamiche sociali e politiche molto complesse». I giovani hanno ereditato «un mondo lacerato da guerre e sfigurato dalle ingiustizie sociali. Eppure in voi», è certo il Papa, «risiede una speranza, un dono, che a noi adulti sembra ormai sfuggire. Voi avete il tempo! Avete più tempo per sognare, organizzare e compiere il bene. Voi siete il presente e tra le vostre mani già si sta costruendo il futuro! E avete l’entusiasmo per cambiare il corso della storia! La vera resistenza al male non è il male, ma l’amore, capace di guarire le proprie ferite, mentre si curano quelle degli altri».

Il Papa sprona i giovani, a imitazione del cedro la cui forza risiede nelle radici, ad attingere «dalle radici buone dell’impegno di chi serve la società e non “se ne serve” per i propri interessi. Con un generoso impegno per la giustizia, progettate insieme un futuro di pace e di sviluppo. Siate la linfa di speranza che il Paese attende!».

«La vostra patria, il Libano», li incoraggia, «rifiorirà bella e vigorosa come il cedro, simbolo dell’unità e della fecondità del popolo».

Parla a ragazzi che sono stati colpiti, che hanno visto morti e feriti, case crollate e che si sono dati subito da fare per aiutare gli altri senza chiedere di che fede fossero o di quale provenienza. «Come molti volontari il nostro amore per il Paese è stato più forte della paura e ci ha impedito di fuggire. Anche noi giovani rifiutiamo di abbandonare la nostra Chiesa, il nostro Paese in questi momenti», gli avevano detto nel corso della serata ricca di simbologie.

Leone saluta la folla
Leone saluta la folla

Leone saluta la folla

(REUTERS)

Papa Leone indica loro, come punto fermo per «perseverare nell’impegno per la pace» in Cristo. Perché il «punto fermo non può essere un’idea, un contratto o un principio morale. Il vero principio di vita nuova è la speranza che viene dall’alto: è Cristo! Egli è morto e risorto per la salvezza di tutti. Egli, il Vivente, è il fondamento della nostra fiducia; Egli è il testimone della misericordia che redime il mondo da ogni male». La pace, continua, «non è autentica se è solo frutto di interessi di parte, ma è davvero sincera quando io faccio all’altro quello che vorrei l’altro facesse a me».

E, dopo aver parlato delle relazioni, che non devono essere fragili e temporanee come oggetti di consumo, del rosario, che molti portano con sé, dell’amicizia e dell’amore, consegna loro una preghiera, quella «semplice e bellissima, attribuita a San Francesco d’Assisi: “O Signore, fa’ di me uno strumento della tua Pace: dove è odio, fa che io porti l’Amore; dove è offesa, che io porti il perdono; dove è discordia, che io porti l’unione; dove è dubbio, che io porti la fede; dove è errore, che io porti la verità; dove è disperazione, che io porti la speranza; dove è tristezza, che io porti la gioia; dove sono le tenebre, che io porti la luce”. Questa preghiera mantenga viva in voi la gioia del Vangelo, l’entusiasmo cristiano. “Entusiasmo” significa “avere Dio nell’animo”: quando il Signore abita in noi, la speranza che Lui ci dona diventa feconda per il mondo. Vedete, la speranza è una virtù povera, perché si presenta a mani vuote: sono mani libere per aprire le porte che sembrano chiuse dalla fatica, dal dolore e dalla delusione. Il Signore sarà sempre con voi, e state certi del sostegno di tutta la Chiesa nelle sfide decisive della vostra vita e nella storia del vostro amato Paese».