Isabelle Autissier è una donna asciutta e senza fronzoli, solida ed essenziale fin quasi a sembrare dura, pratica come lo sono coloro che hanno a che fare con ambienti e situazioni estremi. Francese, classe 1956, è stata la prima donna a compiere il giro del mondo in barca a vela in solitaria, nel 1991. Otto anni dopo, ha vissuto un'avventura incredibile: durante la competizione Around alone, mentre navigava nell'Oceano Pacifico meridionale, la sua imbarcazione si è ribaltata. A salvarla, dopo 24 ore in balia del mare, è stato il velista italiano Giovanni Soldini, suo amico e concorrente, che è riuscito a raggiungerla e a prenderla a bordo sulla sua barca. Oggi la Autissier è autrice di romanzi, saggi e racconti ed è presidente della sezione francese del Wwf. Nel suo ultimo libro L'amore, quando tutto è perduto (Rizzoli), uscito da pochi giorni in Italia, racconta il naufragio e la lotta per la vita su un'isola sperduta del Pacifico meridionale di una giovane coppia francese. Una storia forte, cruda, priva di romanticismo. Una riflessione profonda sulle relazioni umane alla prova di situazioni ai limiti della sopravvivenza e sul rapporto fra l'uomo e la natura.
Nel romanzo a un certo punto lei scrive: "Nei grandi momenti l'essere umano è solo. Davanti alla vita, alla morte, alle decisioni supreme, l'altro non conta più". In una situazione estrema, dunque, cosa prevale nell'uomo, l'amore e lo spirito di solidarietà o l'individualismo?
«Noi siamo degli animali, molto differenti dagli altri, certo. Ma in fondo noi abbiamo degli istinti che ci comandano, ci dicono di compiere azioni basiche, fondamentali, per non morire. Talvolta questi istinti risalgono a galla e prevalgono. Il compito della società, allora, è di arginare certi istinti, di mettere loro dei paletti, in modo tale che possiamo trovare il modo di vivere con gli altri, in una comunità. Si tratta di un percorso lungo, di un processo educativo che dura tutta la vita. Bisogna apprendere a regolare la nostra parte animale, riuscire a inquadrarla. Nel libro, i due protagonisti cercano di attaccarsi ai gesti tipici della vita normale, alle azioni della quotidianità, affinché possano preservare l'umanità e lo spirito di solidarietà».
La protagonista femminile, Louise, è un'alpinista, un'esperta di montagna. Mare e montagna sono entrambi ambienti estremi, che pongono delle grandi sfide.
«Louise non poteva essere appassionata di mare, sarebbe stato troppo. Io non sono affatto alpinista. Ma ho ospitato spesso sulle mie imbarcazioni degli alpinisti, ho compiuto insieme a loro delle spedizioni. Entrambi gli ambienti, mare e montagna, sono duri, aspri, difficili. Nell'affrontare entrambi alla base c'è il piacere di superare le difficoltà. In comune hanno il rischio, anche se devo dire che la montagna è molto più pericolosa del mare: i morti fra gli alpinisti purtroppo sono molto più numerosi che in mare. Le tecniche di alpinisti e velisti sono molto differenti, ma le motivazioni che spingono a inoltrarsi in questi ambienti e le sensazioni che si vivono sono le stesse. E poi in comune c'è il rispetto per la natura, i marinai e gli scalatori sono molto più sensibili alle tematiche dell'ecologia rispetto alle altre persone».
Cosa significa per lei la solitudine? Quand'è che ci si sente davvero soli?
«Io ho vissuto una solitudine particolare, frutto di una scelta personale in un momento determinato. Nei nostro Paesi ci sono tantissime persone che sono sole senza averlo voluto, perché sono malate, anziane, chiuse in carcere. Quella è una solitudine insopportabile. Per me invece si tratta di un lusso incredibile e consiglierei a tutti di prendere un breve periodo, un momento di completa solitudine perché fa davvero molto bene. Nella vita ordinaria passiamo il nostro tempo a rispondere alle sollecitazioni degli altri. Quando siamo soli prestiamo attenzione a noi stessi, abbiamo il tempo e la calma per pensare alla nostra persona. La solitudine ti restituisce la consapevolezza di essere vivo, la possibilità di pensare a cosa vuoi fare della tua vita, riflettere sui tuoi progetti, sul senso della tua esistenza. Quando poi torni nel caos della vita quotidiana in mezzo alla gente non hai più tempo per farlo. Infine, può sembrare paradossale, ma credo che la solitudine ti riavvicini agli altri. Quando sei privato del rapporto con le altre persone e la comunicazione è molto debole, fatta di qualche messaggio, di conversazioni di pochi minuti al telefono, senti la necessità di comunicare le cose davvero importanti, essenziali, senti il bisogno di maggiore verità nel rapporto con gli altri, esprimi di più ciò che pensi. La verità nei rapporti è qualcosa che poi cerchi di mantenere quando torni alla vita di sempre».
Un'esperienza di naufragio come l'ha vissuta lei quanto e come cambia la vita, la prospettiva, il modo di guardare il mondo?
«Stranamente ciò che ha davvero cambiato la mia vita non è stato quel fatto drammatico bensì un evento molto bello: la fine del mio primo giro del mondo in solitaria. Quando avevo otto anni coltivavo il sogno di girare il mondo in barca a vela. E a 34 anni l'ho fatto. Realizzare un sogno di quando si era bambini è la cosa più bella che possa capitare. Quando sono arrivata negli Stati Uniti, alla fine del giro, ho pensato: ecco, ho compiuto il mio progetto di vita, ho superato la prova, ho rispetto il patto con me stessa. E, da qui in avanti, tutto quello che ancora mi succederà di bello sarà tutto di guadagnato. Quel traguardo rappresentava lo zoccolo duro delle mie certezze, della mia sicurezza. Ho capito che si trattava della mia libertà. I momenti drammatici fanno parte della vita. Certamente quando uno decide di partire per un'esperienza difficile come quella in mare parte con il massimo delle precauzioni, ma prende in considerazione l'idea della possibilità di andare incontro a un grande rischio. Anche questo fa parte della mia libertà e considero il pericolo come parte di essa. Ciò che ti aiuta è aver pensato e messo in conto il pericolo già prima, aver riflettuto a come eventualmente reagire ad esso. Forse è più drammatico per gli altri, le persone che mi sono vicine, che per me».
Può raccontare del suo rapporto con Giovanni Soldini?
«Giovanni ed io eravamo amici da anni, il mondo della vela è molto piccolo. La nostra è stata una storia umana bellissima, incredibile. In quell'angolo remoto di mondo, lontano da tutto il resto, dalle altre persone, ci siamo ritrovati insieme, due piccoli esseri umani, un po' perduti e solidali. L'anno prima del mio incidente Giovanni aveva vissuto un'esperienza di naufragio simile: la sua imbarcazione si rovesciò e uno dei suoi amici a bordo scomparve in mare. Abbiamo passato tanto tempo a discutere, raccontare le nostre esperienze, dimenticando quasi completamente la competizione: eravamo due amici che condividevano le loro vite in tranquillità. Conservo il ricordo splendido di un'amicizia piena di energia e di umanità».
Lei è presidente del Wwf in Francia. Lo scorso dicembre Parigi ha ospitato la Conferenza internazionale sul cambiamento climatico. Cosa pensa dell'accordo raggiunto e dei progressi compiuti?
«Ho partecipato all'intera Conferenza per due settimane. Credo che la Francia abbia fatto un buon lavoro nei due anni precedenti per preparare tutti i Paesi e impegnarli su una road map molto chiara. Per la prima volta tutti i Paesi si sono trovati sulla stessa linea di partenza e hanno raggiunto un obiettivo importante: mantenere l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi. Si tratta di un grande segnale politico. Certo, c'è ancora molto lavoro da fare, ma almeno abbiamo un buon punto di partenza. Ora dobbiamo capire come tradurre il segnale politico nella pratica economica e sociale. I Governi da soli non bastano, devono intervenire enti locali, imprese e cittadini, soggetti indispensabili. Dobbiamo lavorare insieme allo Stato che non sempre è esemplare ma fa anche molte cose buone. Noi siamo critici, ma sempre in modo costruttivo, proponendo soluzioni che portino a un reale cambiamento».