Evangelos Tsilis, 46 anni.
«Lavoro in Ucraina da quasi due anni: sono arrivato dalla Grecia ad agosto del 2022. Allora, mia figlia più grande, Anthi, aveva poco più di due anni e mezzo. Decidere di lasciare lei, così piccola, e mia moglie per andare a lavorare con una organizzazione umanitaria in un Paese in guerra è stato terribilmente difficile». Evangelos Tsilis, 46 anni, è rappresentante Paese in Ucraina di Intersos, organizzazione umanitaria internazionale, nata in Italia, che opera in prima linea per assistere le popolazioni in contesti di emergenza, in Paesi e regioni del mondo lacerati da conflitti, violenza, povertà estrema, calamità naturali. La sua sede è a Dnipro, una delle città principali della parte orientale del Paese, sotto la costante minaccia dei bombardamenti russi. Quando lo raggiungiamo al telefono, è ad Atene, dove vive la sua famiglia, per una breva vacanza.
«Con Anthi avevamo un legame fortissimo: quando ho deciso di partire per l'Ucraina ho cercato di spiegarle e farle capire perché il papà doveva in un altro Paese, senza dirle ovviamente la verità, raccontandole la mia missione sotto forma di una favola. Non è stato affatto semplice». Sua moglie, Irene, anche lei alle spalle un lavoro nel campo umanitario, l'ha appoggiato fin da subito. «Tutte le decisioni ovviamente le prendiamo insieme. Lei mi ha sostenuto in questa scelta. E solo con il suo consenso io ho deciso di partire. Sapevo che la lasciavo da sola con un bambina piccola. La prima cosa che le ho detto è stata: non appena tu mi dici che non ce la fai, io lascio tutto e rientro».
Non solo Irene lo ha supportato, prendendo su di sé il carico e l'impegno di crescere la loro bambina per la maggior parte del tempo da sola. Ma proprio nella distanza, mentre Vangelis si trovava in Ucraina, la coppia ha scelto di avere un altro figlio. «Vengo da una famiglia molto unita ed Anthi cominciava a chiedere un fratellino o una sorellina. Con Irene abbiamo fatto le nostre riflessioni e ci siamo detti: andiamo avanti». Così, a luglio del 2023, è nata la secondogenita, che ora ha otto mesi. «Il nome dei bambini da noi in Grecia viene dato ufficialmente con il battesimo, che sarà celebrato a maggio, ma noi l'abbiamo già chiamata Emelia». Dopo la nascita della figlia, Vangelis è rimasto con la famiglia per un mese. Poi di nuovo è tornato a novembre, dopo tre mesi. «Quello è stato il periodo più difficile. In quei mesi mi sono reso di conto di aver perso delle piccole cose che magari per altre persone sono insignificanti ma per me molto importanti. Nei primi giorni, quando sono tornato, lei piangeva come se io fossi un estraneo. Dico la vertità, da quando Emelia è nata io in totale sono stato fisicamente con lei un mese e mezzo». Questa volta, quando è rientrato, è stato diverso, Emelia era molto più tranquilla. Irene, dice Vangelis, ha fatto un grande lavoro per mantenere sempre le figlie in contatto, a distanza, con il padre.
«Il 19 marzo festeggio la Festa del papà con le mie figlie. Io sento molto questa ricorrenza e la celebriamo. È importante per le bambine e anche per me, viviamo una giornata un po' speciale, ora che sono con loro». Con le sue figlie, quando è in Ucraina, Vangelis cerca di accorciare la distanza attraverso le videochiamate. La primogenita Anthi è molto curiosa. «Io le ho parlato dell'Ucraina senza dirle che si tratta di una guerra, per non spaventarla. Ma lei ha tantissime domande, vuole sapere perché alcuni devono lasciare le loro famiglie e i loro Paesi per andare ad aiutare altre persone, mi chiede come fanno i bambini in Ucraina ad andare a scuola ed altre cose».
Vangelis - che è greco - ha studiato Medicina in Italia, poi si è specializzato in Oculistica. Dopo aver vissuto molti anni nel nostro Paese - parla perfettamente italiano - ha decido di tornare in Grecia, dove è entrato nel mondo delle organizzazioni umanitarie. Essere già padre e diventarlo una seconda volta, durante la sua missione in Ucraina, ha cambiato il suo sguardo sulle persone e sul proprio lavoro. «Una volta sono andato a visitare una scuola vicino a Mikolaïv, nel Sud. Lì i bambini avevano i loro padri, fratelli o zii al fronte. Allora, mi sono reso conto di quanto, da padre, fossi diventato sensibile all'infanzia e di quanto i bambini fossero diventati per me una priorità. Nel mio piccolo, se posso fare qualcosa per alleviare il loro dolore, per me è un grande traguardo. Se anche per un solo giorno possiamo regalare loro dei momenti di spensieratezza e di divertimento organizzando per loro una festa, non cambiamo la loro vita, ma li abbiamo aiutato ad essere un po' più sereni. In generale, è cambiato il mio sguardo non solo sui bambini ma sul settore umanitario, nel quale lavoro: se lasci la tua famiglia, i tuoi figli per andare lontano, in un Paese in guerra, devi sentire che ciò che fai ha un senso. Se è solo lavoro non mi basta più. Io devo sentire che, nel nostro piccolo, facciamo la differenza per le persone che aiutiamo e che realizziamo qualcosa di buono per loro».
(Foto Reuters. un uomo ucraino saluta i suoi figli in partenza in treno da Kyiv a Leopoli, nei primi giorni della guerra)