Achille Lauro a Sanremo (foto Ansa)
«Dio benedice chi gode», ha oracolato a Sanremo Achille Lauro, giovane cantante “fuori dalle righe”, per dire solo così. Ecco, dunque, che il segno linguistico - godere - cerca i suoi diversi e diversificati significati. Impone un doveroso discernimento critico sul suo “significato autentico”.
Ha fatto bene il professor Lorizio, sacerdote e teologo fondamentale dell’Università del Laterano a ricordarci le ultime parole in bocca al beato Antonio Rosmini in punto di morte: “Adorare, Tacere, Godere”. Fu la risposta alla domanda del grande romanziere italiano Alessandro Manzoni, suo figlio spirituale, addolorato per la dipartita imminente dell’ancor più grande teologo e filosofo roveretano. “Godere” non è attività o verbo estraneo al cristianesimo, ma è piuttosto ciò che resta da fare per vivere davvero la fede. Metto conto annotare, solo per inciso, il titolo dell’Enciclica di Papa Francesco su La gioia del Vangelo (= Evangelii gaudium), dove “gaudium” è tradotto con gioia, ma l’assonanza rimanda comunque al “godimento”.
Godere con piacere, non senza gioia
Si gode, infatti, “perché si ha piacere”, senz’altro. E il piacere ha a che fare con la sensualità e con la sessualità. Si gode davvero, però, perché si vive la gioia che il piacere trasporta e verso la quale si orienta: non si gode alcun piacere senza la meta della gioia. Quando per il proprio piacere godereccio si fanno soffrire gli altri (persona cara o anche estranei sconosciuti) è impossibile che Dio possa benedire. Potrà solo “perdonare”, secondo la sua misericordia infinita, insegnata da Gesù. Il Godere del Rosmini circuita con l’Adorare e il Tacere (il filosofo lo chiama “circolo solido”), perché è pieno di stupore per la bellezza del volto personale dell’altro, di altri che è spinto a “baciare”, portando la sua bocca alla bocca dell’altro (ad=verso; ore=bocca da os) o anche il portare la mano sulla bocca (da qui il Tacere, segno di annullamento della propria parola e della propria manifestazione a favore dell’amato) per l’ammirazione estatica, prima ancora che estetica, della persona dell’altro. Niente di tutto questo, assolutamente niente, nel bacio che Achille Lauro – in abito da sposa e con marcia nuziale- ha dato a Boss Doms. Per alcuni è uno “spettacolo nello spettacolo”, ma è possibile osservare che è uno spettacolo indecente? Lauro lo concederebbe, tanto “se ne frega” e: “Dio benedica chi se ne frega”.
Dopo le sue performance, sempre tanto entusiasmo. La macchina sanremese sembra vivere della potenza di questo motore, imprevedibile, dirompente, oltre ogni logica e ogni “catalogazione”. Anche la visione gender - con il catalogo degli ormai “infiniti” generi sessuali - è del tutto inadeguata e da cestinare: “sessualmente tutto e genericamente niente”. Per la conquista della libertà da ogni stereotipo, da ogni schema, da tutte le interpretazioni e letture, Lauro si “sente incompreso” e, perciò, invoca una ulteriore benedizione: “Dio benedica gli incompresi”.
Il giovane Achille pretende esercitare il diritto di essere, perché «essere è diritto di ognuno». E poi «esistere è essere», pertanto “Dio benedica chi è”. L’amletico problema è risolto: non si può non esistere, perché non esistere è non essere; ma se l’essere è un diritto, allora è necessario esistere. E lo si dica pure a milioni di bambini che – concepiti in atti di parossismo del piacere - vengono poi abortiti per il non diritto a essere e, dunque, a esistere, a venire al mondo, a causa “del peccato e del peccatore”. E si cerchi anche di chiarirlo a milioni di piccoli già nati che – per il piacere deviato “della esagerazione e della teatralità, della disinibizione e del lusso e della decadenza” - vengono abusati con violenza carnale anche all’interno delle famiglie dai propri genitori e parenti o amici. È barbarie umana del piacere disincantato e libertario che “Dio non benedirà mai” perché è offesa alla giustizia della vita e dell’essere, è banalizzazione mortificante dell’esistere.
Dio benedice solo chi ama: perché “Dio è amore”
Non si riesce (neanche a volerlo pervicacemente) ad amare senza godere, ma non viceversa: troppo spesso, invece, si gode senza amare, nella società dell’ipermercato, conseguendo (nonostante non lo si voglia con tutte le proprie forze) solo il vuoto del niente, la superficialità dell’indifferenza, il dolore del disamore. È questa una tesi della filosofia personalistica, come anche una convinzione del pensiero cristiano (cioè di quel pensiero che si lascia guidare dalla stella della Rivelazione di Dio-agape-amore in Cristo Gesù).
Quando ero giovane, lessi con gusto quel bel libretto di Eric From - L’arte di amare- per il quale l’amante è un “artigiano”: se l’amore è un’opera d’arte, come la vita stessa di ogni persona, si impara ad amare e, dunque, anche a godere. Per imparare è giusto seguire una via, un metodo (= metà-odos, cioè la via seguendo la quale si raggiunge risultati cumulativi e progressivi): se la meta dell’amore è la gioia dell’altro, allora il godimento nell’amore dipende e si consegue quando l’altro è nella gioia. Allora, “Dio benedice solo chi ama e lo benedice col godimento della gioia”. Per altro, Oscar Wilde – autore che per Achille Lauro non dovrebbe risultare sospetto, ma “benedetto dal suo Dio benedicente” - ne’ Il ritratto di Dorian Gray la dice molto lunga sulla ricerca senza inibizioni di ogni forma di piacere, anche a costo della morte delle persone sfruttate da chi “se ne frega” che si suicidano per il loro amore sincero e autentico verso Dorian, come la giovanissima attrice o, soprattutto, il pittore del ritratto, legato al personaggio da un sentimento omosessuale, la cui luce traspare nella bellezza inedita di quel volto “ritratto”. Turpe e mostruoso come l’anima di Dorian Gray, “schiavo del piacere senza limiti”, alla fine il ritratto è spaventoso.
Chi vuole godere, per diritto di esistere e di essere, deve amare e chi ama non può fregarsene del fatto che l’amore è un dovere dell’essere. Non si hanno solo diritti, ma anche doveri e non ci sono diritti fuori dai doveri, tra gli esseri umani: a ben pensarci, nemmeno in Dio, per lo meno nel Dio cristiano, secondo l’Incarnazione e la morte in croce del Figlio risorto per mostrare “come” deve essere l’amore per essere come deve. Amatevi “come” io ho amato voi, è il comandamento nuovo che dichiara l’amore e la sua giustizia, la gioia e la sua verità, il godimento e la sua bellezza.
Il tallone debole del prode
Ecco il tallone di Achille a Sanremo: la rivendicazione alla libertà di godere senza limiti e senza generi, senza misure o costrizioni (o castrazioni) non rimanda più al Dio cristiano, ma piuttosto (ne sia consapevole o no) alle divinità dei Baccanali romani, dove l’esaltazione della sessualità in un’assoluta libertà emotiva sfociava in una totale mancanza di controllo e di regole.
Gesù non è Bacco, questa divinità viene raffigurato, come nell’interpretazione famosa del Caravaggio, con il capo cinto da pampini d’uva, e con una coppa di vino in mano, con l’aria trasognata di chi vive una condizione di ubriachezza. Bacco non è Gesù, il Dio che muore sulla Croce per mostrare la verità dell’amore che salva. Si può criticare all’infinito sulle modalità - spesso contraddittorie - con le quali questo amore di Dio, consegnatoci nel sacramento dell’Eucarestia da Gesù, è stato trasmesso agli uomini nella storia millenaria del cristianesimo dalle istituzioni del cattolicesimo. Tuttavia, ogni critica agli avvenimenti scandalosi con cui i cristiani hanno incenerito la loro testimonianza di fede, non scalfisce per nulla l’autenticità luminosa dell’essere dell’amore cristiano: spingere il dono della vita fino a morire per l’altro, fino anche la perdono del nemico. È questa “la Luce inattesa che ad ogni cosa da un colore e fa evaporare il mio dolore” (Grata Zuccoli in Ogni cosa sa di te).
L’amore salva. Solo l’amore salva e, se la bellezza salva (Dostoevskij), è perché è la bellezza dell’amore. Ecco il crocifisso e la croce gloriosa, il cui significato è l’amore che fa vivere la gioia anche nello strazio del dolore di chi sta morendo inchiodato ad un legno. E non è per nulla blasfemo considerare quanto Erman Hesse faceva notare in Narciso e Boccadoro: lo spasimo del dolore nel volto di un sofferente assomiglia (terribilmente) al contrarsi dei tratti di un volto che sta godendo intensamente. Beati quelli che godono nella verità e nella giustizia dell’amore, perché portano anzitutto la gioia nel cuore degli amici, dei fratelli tutti.